NATURA, AMORE e VITA  Blog    Home    Indice   Books

Paolo VI – Giovanni Paolo II – Benedetto XVI – Francesco

 

Omelie dalle Sante Messe di mezzanotte


nel


NATALE del SIGNORE


1966 – 2018


 

Doni d’Amore sono le parole delle

Omelie dalle Sante Messe di mezzanotte

nel Natale del Signore che raccogliamo

e porgiamo alla Vostra attenzione

Antonio Bigliardi

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEL FIORE

OMELIA DI PAOLO VI

Firenze, 24 dicembre 1966

 

NELLA GRANDE PROVA LA NUOVA CERTEZZA DI FEDE

Fratelli e Figli tutti carissimi!

Questa nostra presenza fra voi, dopo più d’un secolo che un Papa non mette piede a Firenze, nelle circostanze singolarissime che hanno dato motivo alla Nostra venuta, con l’assistenza così numerosa di persone d’ogni grado, che vediamo d’intorno a Noi, esigerebbe da parte Nostra una quantità di saluti e di commenti, che la brevità del tempo disponibile per questo breve sermone non Ci consente di fare. Ci dobbiamo limitare a ringraziare il Pastore della arcidiocesi Fiorentina, il Signor Cardinale Arcivescovo Ermenegildo Florit, delle buone e belle parole, ch’egli testé Ci ha rivolte, e Ci dobbiamo accontentare di ricambiare l’omaggio, ch’egli anche a nome vostro Ci esprimeva, con la conferma della Nostra devota e cordiale venerazione e con l’assicurazione, che nella sua degna persona Noi vogliamo dare a tutti voi, a tutta la vetusta, la gloriosa, la santa Chiesa di Firenze, della perfetta e fraterna comunione della Chiesa di Roma, nella medesima fede, nella medesima carità. Firenze e Roma: basta il binomio, che in questa notte qui rivive, per sollevare nello spirito un flusso di memorie, di sentimenti, di voti, che dobbiamo ora contenere nell’espressione, ma non nella sensibilità, nella commozione, che racchiudiamo nel cuore e che tradurremo nel trascendente colloquio con Dio e con Cristo nella Messa, ora iniziata. Roma e Firenze, città che la storia, l’arte, la fede, la rispettiva missione spirituale e civile, presentano nella parentela di madre e di figlia, anzi di sorelle, si abbracciano di nuovo, in questa santa notte, insieme pregando, insieme piangendo, insieme sperando.

Per questo, Fratelli e Figli carissimi, siamo venuti.

Sì, diamo a questa celebrazione religiosa, innanzi tutto, il suo pieno significato religioso. Celebriamo la beata memoria dell’umile e meravigliosa nascita di Cristo nel mondo, nella storia, fra noi, uomini dispersi e cercanti. Anzi una sua rinnovata presenza noi celebriamo. Ed è così vero, così suggestivo questo avvenimento, che non è fantasia pensare a noi stessi come a viandanti nello sconfinato panorama della vita, i quali si mettono al passo sopra uno stesso sentiero, e l’uno all’altro si rivelano pellegrini verso una stessa meta. Eccoci insieme. Dove andiamo? Andiamo a Cristo. Chi è Cristo? Dov’è Cristo? Il Salvatore? Il Maestro? Il Verbo di Dio vivente nella povera e pura carne di Gesù, resosi nostro Fratello, nostra guida, nostro Collega, nostro amico, anzi nostro capo, nostra Vita? Se questo è vero, come è vero, ecco, è stupendo, è sbalorditivo. Sì, è vero. Voi lo sapete, e Noi, successori d’una testimonianza apostolica, che di secolo in secolo testualmente si ripete e si rinnova per ogni età, siamo qua venuti per darvene nuova e piena certezza. Sì, è vero. È nato il Messia, il centro dell’umanità, Colui che conosce ciò che è nell’uomo (cfr. Io. 2, 25), Colui al quale, scienti o no, tutti gli uomini sono rivolti; Colui dal quale, scienti o no, tutti gli uomini aspettano la soluzione suprema. Sì, è vero. Diciamo noi pure: Arriviamo fino a Betlem, «transeamus usque ad Betlem» (Luc. 2, 15); e vediamo un po’ come stanno le cose, «et videamus hoc Verbum quod factum est» (ibid.). E questa curiosità, questa avidità di sapere, di toccare la realtà del fatto prodigioso della venuta di Cristo, l’Emmanuele, nel mondo; di credere, in una parola, al mistero della Incarnazione, non sia da alcuno soffocata in fondo allo spirito, ma tutto lo invada, lo stimoli, lo tormenti, lo sollevi, lo abiliti a credere e a pregare, lo porti a personale contatto con Lui, con Cristo: questo è il Natale.

SIGILLO DI DILEZIONE PATERNA NEGLI ANNALI DELLA CITTÀ

E nessuno sia stupito o scandalizzato se l’apparizione delude ogni fantasia trionfalistica (come oggi si dice), ma si presenti invece nelle vesti dell’umiltà, della povertà, dello squallore terreno; una rivelazione di suprema bontà (come or ora ha ricordato il Cardinale Arcivescovo), un’offerta di fratellanza a pari livello con ogni uomo, intenzionalmente compreso l’uomo minore, l’uomo minimo, e una tacita, ma potente lezione rieducativa sui veri valori della vita, non poteva avvenire che così: l’humilis Deus del Presepio è proprio quello che ci può convincere, e che può finalmente cavare dal nostro arido cuore la nuova scintilla, l’amore.

E questo, Fratelli e Figli carissimi, spiega il perché la Nostra celebrazione del Natale quest’anno ha scelto questa sede. Da quando la Chiesa di Dio Ci ha chiamati alla dignità e alla responsabilità della funzione pastorale abbiamo voluto celebrare, prima che nella esaltante solennità pontificale, nell’immediata vicinanza di qualche comunità bisognosa e sofferente. Firenze Ci è allora apparsa, quest’anno, come la più invitante stazione del Nostro notturno Natale. Siamo qua venuti, sospinti dalla carità del Natale, perché la vostra prova Ci ha chiamati, Ci ha quasi obbligati a venire. Siamo qua venuti, nel giorno della tenerezza e della fortezza dell’amore, per piangere con voi, dicevamo. Sì, Fiorentini, ai cento titoli, che voi potete avanzare per la Nostra affezione, per la Nostra stima, per l’umana e cristiana comunione, un altro titolo si è aggiunto, che ora, più d’ogni altro, Ci ha messi in cammino: il vostro dolore, così grande, così singolare, così fiero e così degno.

Viaggiando verso questa Città, ch’è fra le più celebri e le più attraenti del mondo, andavamo pensando che altri Nostri Predecessori, in tempi lontani, con maggiore decoro e con identica stima e minore fretta, vennero a Firenze, ammirando le sue bellezze, godendo la sua ospitalità, trattando i suoi affari; ma non ricordiamo che altri Papi, prima di Noi, siano venuti a Firenze solo e proprio per Firenze, come Noi questa notte siamo qua arrivati, e non già per Nostro godimento o per Nostro interesse, ma per vostro conforto, e per quello, se a loro può giungere, degli altri fratelli, Italiani ed Esteri afflitti da sventura simile alla vostra; così che questa semplice e furtiva visita Nostra ambisce ad avere negli animi vostri, o Fiorentini, e di quanti altri vi sono colleghi nella presente sventura, un unico apprezzamento, quello dell’amore, dell’amore del Papa. Nel segno dell’amore si sigilla nei vostri annali questa Nostra venuta.

E se tale è davvero il vostro apprezzamento, tanto a Noi basta, mentre, purtroppo, sappiamo bene, esso non basta a porre rimedio adeguato ai vostri lutti e alle vostre rovine. Vorremmo poter fare ben altro per vostra consolazione e per vostro soccorso!

Ci conforta il sapere che da mille parti è affluito spontaneo l’aiuto: questo suffragio di bontà è cosa stupenda! Stupendo in chi lo ha dato, stupendo anche in chi lo riceve: non offende la vostra fierezza, o Fiorentini, sì bene l’accresce per la prova di stima e di fraternità, che dappertutto vi, è tributata.

STIMA E FRATERNITÀ CRISTIANA DA TUTTO IL MONDO

L’interessamento dei fanciulli e dei giovani, ad esempio, vi deve piacere e commuovere; come quello dell’UNESCO e della Croce Rossa e di altri enti di cultura e di beneficenza, nazionali ed esteri, altamente vi onora! Così deve veramente sostenere il vostro coraggio l’attestato di solidarietà nazionale, che le pubbliche Autorità, con tanta prontezza e con tanta larghezza, vi hanno dato, prodigando aiuti generosi ed efficaci, ed altri preparando e promettendo. Siamo Noi stessi compiaciuti e riconoscenti di tanta comprensione umana e civile, ed anche cristiana, perché, a bene osservare, dalla scuola di Cristo essa non poco deriva.

Dicendo «bravi» agli altri, non vogliamo Noi stessi sottrarci al grato dovere della carità, tanto più che molti Nostri Fratelli e Figli, Vescovi e Fedeli, hanno messo nelle Nostre mani offerte preziose, che già hanno avuto la loro provvida destinazione, non esclusa Firenze; saremo felici se Ci sarà dato di lasciare, in un’opera di assistenza ai più bisognosi della popolazione fiorentina, il segno, per quanto simbolico e modesto, dell’amore che rimane, e della speranza che rivive.

«LA VOSTRA VOCAZIONE È NELLO SPIRITO . . .
LA VOSTRA MISSIONE È NEL DIFFONDERLO»

Ed eccoci alla terza intenzione di questo Nostro viaggio natalizio: siamo venuti per condividere la speranza, che vi ha tutti sostenuti nella sventura, per esserne Noi stessi confortati. Conosciamo le vostre virtù umane e civili, la vostra tempra fiorentina, vibrante d’intelligenza, di coraggio, di laboriosità, di senso acuto ed operante della realtà; sono virtù, codeste, che, messe alla prova, insorgono, si affermano e si accrescono; non cedono. Così avviene in codesta drammatica contingenza, che, invece di fiaccare, corrobora le vostre energie e le moltiplica.

Ma c’è ben altro nelle riserve della coscienza fiorentina: le riserve geniali e spirituali che vi ha depositato la vostra incomparabile tradizione; e se ora Ci asteniamo dal farvi alcun preciso accenno (e sarebbe pur bello e facile il farlo), ciò si deve all’ovvio proposito di non ripetere a voi ciò che già benissimo voi conoscete; il Nostro accenno a codesta ricchezza mira soltanto a ricordarvi ch’essa non dev’essere, come del resto non è, puro oggetto di contemplazione e di orgoglio, ma sorgente di ispirazione e d’impegno; non dev’essere soltanto storia passata e finita, ma stimolo ad una ricerca sincera e originale dei valori immortali e universali, ch’essa racchiude ed illustra; e studio dev’essere, e sforzo per rivivere e per emulare la grandezza spirituale d’un tempo, per bandire da voi, se bisogno vi fosse, ogni imbelle pigrizia, ogni decadente criticismo, ogni opaco materialismo; e per rinascere. Rinascere popolo vivo ed unito; popolo laborioso e credente, popolo tipico e moderno.

Rinascere, Figli carissimi, è una grande parola, spesso fraintesa dai satelliti della moda, o dai sovversivi delle strutture. È una parola che sa d’utopia per chi non conosce il Natale. Rinascere vuol dire rifare se stessi, i propri pensieri, i propri propositi; è ciò che il Concilio, ancor prima di altre riforme, ci ha predicato, con San Paolo: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità» (Eph. 4, 23). Vuol dire per voi, Fiorentini, ritrovare le energie interiori dello spirito, che la vostra tradizione cristiana ha inserito nell’essere vostro; e riacquistare coscienza della vostra vocazione a irradiare appunto lo spirito, e a diffondere nel mondo, cominciando da quello che viene qua pellegrinando alla vostra scuola, di arte e di storia e di lingua e di civiltà, quei valori immortali e universali, di cui dicevamo, e di cui la fede cattolica dei vostri Santi e dei vostri Grandi possiede la sempre feconda radice. E le supreme aspirazioni del nostro tempo, la giustizia, quella sociale specialmente, e la pace, quella internazionale specialmente, avranno da voi nuovo suffragio e originale servizio. La vostra vocazione, Fiorentini, è nello spirito, la vostra missione è nel diffonderlo.

Ed è per riaccendere in voi codesta coscienza, codesta fiducia, in un’ora che può essere decisiva per il vostro orientamento morale, che Noi siamo venuti a celebrare il Natale con voi; il Natale non solo di Cristo, ma vostro, il Natale della speranza cristiana.

 

MESSE DE MINUIT

HOMÉLIE DU PAPE PAUL VI

NOËL 24 décembre 1967

 

Excellences, chers Fils, Frères et amis,

Nous voici à nouveau réunis, dans l’intimité si suggestive de cette liturgie nocturne, pour fêter ensemble le plus grand événement de l’histoire du monde, aux yeux des chrétiens: celui que l’Evangéliste a résumé en une formule qui a traversé les siècles et nourri la méditation d’innombrables générations: «Verbum caro factum est et habitavit in nobis: Le Verbe s’est fait chair et il a habité parmi nous» (Io. 1, 14).

La vie et la mission du Christ, ses sublimes enseignements, le salut qu’il apporte au monde: tout commence dans une étable, au cœur d’une nuit d’hiver, dans un obscur village de Palestine.

Quand l’esprit de l’homme moderne, embrassant d’un regard les développements du christianisme au cours de ces vingt siècles, s’arrête à considérer l’exiguïté, la faiblesse, l’insignifiance de ces débuts, il est saisi par le prodigieux contraste qui s’offre à ses yeux. A vues humaines, quoi de plus déraisonnable que d’avoir entrepris la grande œuvre du salut du monde à partir de moyens apparemment aussi faibles, aussi disproportionnés avec le but à atteindre: un enfant pauvre, dans une pauvre crèche, dans un pauvre village, à l’écart de toutes les grandeurs de ce monde, un enfant apparemment sans force, sans prestige, sans autorité . . .

Mais, comme le dit énergiquement Saint Paul, «la folie de Dieu est encore plus sage que la sagesse des hommes, et la faiblesse de Dieu, plus forte que la force des hommes» (1 Cor. 1, 25). Ce qui entre dans le monde avec le Christ, en la nuit de Noël, c’est une semence destinée à devenir un grand arbre, c’est un levain capable de soulever toute la pâte humaine. L’extraordinaire mouvement spirituel qui naît en ce jour et qui traversera les âges et les continents, cette immense entreprise de salut, dont l’Eglise sera l’instrument, comment l’expliquer, en effet, sinon précisément comme la croissance continue d’une semence initiale, comme le développement progressif d’un ferment prodigieusement puissant?

Et pourtant, s’il détache son regard du passé pour le porter sur l’univers qui l’entoure, l’homme de notre temps ne peut pas ne pas apercevoir d’immenses zones de la carte du monde où cette semence du christianisme semble avoir été étouffée ou n’avoir pas réussi à pénétrer et à s’enraciner. Un doute peut alors se présenter à son esprit: ce ferment est-il réellement capable de soulever toute la pâte humaine? Concerne-t-il vraiment l’humanité entière? Est-ce bien la lumière et le salut pour tous? Ou ne serait-ce pas plutôt un vaste courant de pensée et d’action, admirable, certes, et indubitablement puissant, mais destiné, malgré tout, à rester l’apanage de quelques nations privilégées, de quelques formes de civilisations, où il a trouvé dans le passé un terrain favorable à son développement?

L’objection, pour celui qui croit, s’évanouit à la clarté qui jaillit aujourd’hui de la grotte de Bethléem. N’ayons crainte: le message de salut qu’apporte cet enfant est bien universel. Ces lèvres, qui ne peuvent pas encore parler, diront un jour les paroles décisives, qu’aucunes lèvres humaines n’auront jamais pu ni osé dire: «Je suis la lumière du monde (Io. 8, 12). Allez, enseignez toutes les nations»! (Matth. 28, 19).

Toutes, et non pas quelques-unes. Et s’il en est, sur le nombre, qui, en certains points du temps et de l’espace, opposent des obstacles à la pénétration ou à l’enracinement du message de vérité et de vie, celui-ci est-il, pour autant, moins valable et moins efficace?

L’Eglise l’a dit bien souvent par la voix de ses pontifes, et récemment encore avec éclat, par la voix de ses évêques réunis en Concile: le message chrétien accueille toutes les valeurs humaines et religieuses, où qu’elles se trouvent, et il les porte à leur plénitude. Il se présente, non en ennemi ou en concurrent, mais en ami de tout ce que l’esprit humain a produit de grand, de beau et de vrai, en tous temps et en tous pays. Et sa richesse est telle, qu’il est capable de donner à chaque homme, à chaque nation, à chaque civilisation, ce qui manque à sa perfection. La rencontre avec le Christ, ce n’est pas une diminution ou un appauvrissement, c’est un enrichissement de la qualité la plus haute, c’est l’accès à la pleine maturité, la promotion à la plénitude de l’âge adulte offerte aux hommes et aux peuples. Ce que l’Enfant de Bethléem apporte au monde, c’est en effet quelque chose que le monde n’était pas capable de se donner à lui-même, quelque chose d’entièrement nouveau.

L’histoire morale et religieuse de l’humanité a connu, certes, en Orient comme en Occident, de ces vastes mouvements spirituels qui ont marqué les âmes, entraîné les foules, mis leur marque sur de vastes secteurs de la géographie humaine. Efforts - parfois admirables - de l’homme cherchant à s’élever à une sagesse supérieure, à se libérer des faiblesses et des entraves de sa condition terrestre. Mais efforts purement humains.

Ici, ce n’est plus l’homme qui cherche à s’élever vers Dieu, c’est Dieu qui descend vers l’homme, pour le faire monter vers lui, le libérer et le sauver. C’est Dieu qui prend l’initiative, Dieu qui fait irruption dans le tissu de l’histoire humaine. Telle est la «bonne nouvelle» - (c’est le sens du mot grec ευαγγέλιον) - qui est annoncée aujourd’hui à toute la terre. L’Evangile est «la nouvelle» par excellence, peut-on dire, l’unique nouveauté véritable qui se soit jamais vérifiée dans la longue et laborieuse histoire spirituelle de l’humanité. A la lassitude, au vieillissement du monde païen, le Christ apporte quelque chose d’entièrement neuf: la libération et le salut venus d’en haut. Il libère l’homme de lui-même, de sa misère fondamentale, de ses mauvais penchants, de ses péchés et de ses vices, et en fait un homme nouveau, associé à sa vie divine.

Saint Paul, le chantre incomparable de cette libération de l’homme par le Christ, s’écriera dans un transport de reconnaissance et d’amour: «il m’a aimé et il s’est livré pour moi!» (Gal. 2, 20). C’est que chacun est ici concerné personnellement. Ce n’est pas à une humanité générique et abstraite que le salut est offert, c’est à chaque personne en particulier; ce sont mes nécessités, mes désirs, mes aspirations les plus profondes que le Christ vient combler. Et les énergies nouvelles qu’il place au cœur de l’homme vont exercer leur, bienfaisante influence sur la société tout entière. Notre monde moderne tourmenté par tant d’angoissants problèmes, ce monde où l’on travaille, où l’on souffre, où l’on soupire après la paix: qu’il se tourne vers l’Enfant de la crèche, qu’il accueille son message! C’est pour lui la voie du salut, du bonheur et de la vraie paix. C’est une nouvelle espérance qui se lève sur le monde, c’est l’annonce d’une plénitude et d’une joie sans déclin!

Telles sont, Excellences, chers Fils et Frères, les quelques brèves réflexions que peut suggérer le mystère de Noël médité par un homme du vingtième siècle. Et devant vous - qui venez de «toutes les extrémités de la terre» (cf. Act. 1, 8), puisque vous représentez ici les nations et les peuples - et dans ce cadre de la Chapelle Sixtine, où le génie de Michel-Ange a inscrit en raccourci toute l’histoire du monde, cette méditation prend des dimensions qui s’élargissent et s’étendent jusqu’à l’infini . . . Mais n’est-ce pas justement l’infini qu’embrasse le regard du nouveau-né qui apporte, en cette nuit de Noël, le salut au monde? Accueillons ce salut, car sous les traits de celui qui a voulu être appelé le «Fils de l’Homme» se cache la splendeur de la divinité: il est le Fils du Dieu vivant, la Lumière du monde, le Maître des nations, le «Verbe qui s’est fait chair et qui a habité parmi nous, plein de grâce et de vérité».

Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NEL CENTRO SIDERURGICO DI TARANTO

OMELIA DI PAOLO VI

Notte Santa, 24-25 dicembre 1968

 

PER CIASCUNO E PER TUTTI PADRE PASTORE FRATELLO AMICO

Figli! Fratelli! Amici! Uomini sconosciuti e già da Noi amati come reciprocamente legati - voi a Noi, Noi a voi - da una parentela superiore a quella del sangue, del territorio, della cultura; una parentela, ch’è una solidarietà di destini, una comunione di fede, esistente o da suscitare, una unità misteriosa, quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo!

Tutte le distanze sono superate, le differenze cadono, le diffidenze e le riserve si sciolgono; siamo insieme, come se non fossimo forestieri gli uni e gli altri; e questo specialmente con Noi, proprio perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti, per i cattolici, quali voi siete, specialmente: Padre, Pastore, Maestro, Fratello, Amico! Per ciascuno, per tutti.

Così adesso pensateci! Così ascoltateci!

Siamo qua venuti per voi, Lavoratori! Per voi Lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico; ed anche per gli altri delle officine e dei cantieri di questa Città e di questa Regione; e diciamo pure per tutti i Lavoratori dell’immenso e formidabile settore dell’Industria moderna (e non dimentichiamo neppure i Lavoratori dei campi, i Pescatori, gli Addetti ai cantieri navali, i Marinai, e quelli d’ogni altro campo dell’attività umana: voi ora tutti li rappresentate al Nostro sguardo).

Per voi, Lavoratori!

Ma prima che Noi vi parliamo, lasciateci essere cortesi e riconoscenti con tutti coloro che qui Ci hanno accolto e permesso di entrare. Noi Ci sentiamo obbligati a ringraziare le Autorità civili e militari, i Promotori e i Dirigenti di questa gigantesca impresa; così l’Arcivescovo e quanti spiritualmente e socialmente vi assistono; le vostre Rappresentanze; ed anche le vostre Famiglie, i vostri Figli, tutta la Popolazione di questa Città e di questa Regione. A tutti il Nostro saluto, il Nostro augurio ed anche la Nostra Benedizione. Il Natale riempie il cuore di voti buoni e felici per tutti.

AGLI OPERAI IL MESSAGGIO DI RINNOVAZIONE E DI SPERANZA DEL REDENTORE DEL MONDO

Ma ora a voi, Lavoratori, che cosa diremo nel breve momento concesso a questo nostro rapido incontro?

Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era così. (Anni fa Noi parlammo di questo fenomeno a Torino). Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. Ma per ora vi basti il fatto che Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi Ia spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere. Ripeteremo ancora una volta da questo centro siderurgico, che consideriamo ora espressione tipica del lavoro moderno, portato alle sue più alte manifestazioni industriali, d’ingegno, di scienza, di tecnica, di dimensioni economiche, di finalità sociali, che il messaggio cristiano non gli è estraneo, non gli è rifiutato; anzi diremo che quanto più l’opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di progresso scientifico, di potenza, di forza, di organizzazione, di utilità, di meraviglia - di modernità insomma - tanto più merita e reclama che Gesù, l’operaio profeta, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo, il Verbo di Dio, che si incarna nella nostra umana natura, l’Uomo del dolore e dell’amore, il Messia misterioso e arbitro della storia, annunci qui, e di qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza.

LE CONQUISTE DELL’UMANITÀ SONO CONFERMA DELLA GRANDEZZA E DELL’INEFFABILE DISEGNO DI DIO

Lavoratori, che Ci ascoltate: Gesù, il Cristo, è per voi!

Ricordate e meditate: il Cristo del Vangelo, quello che la Chiesa cattolica vi presenta e vi offre, è per voi! Questa notte è con voi!

Non abbiate timore che questa presenza, questa alleanza, vissuta nella fede e nel costume, voglia mutare l’aspetto, la finalità, l’ordinamento d’un’impresa come questa, e d’altre simili; voglia cioè, come volgarmente si dice, clericalizzare il lavoro moderno dell’uomo, ovvero frenare la sua espansione, opporre la finalità religiosa della vita allo sviluppo dell’attività umana, il Vangelo al progresso scientifico, tecnico, economico e sociale.

Voi avete certamente sentito parlare del recente Concilio, nel quale la Chiesa ha espresso e precisato il suo pensiero a riguardo dei suoi rapporti col mondo contemporaneo. Ecco che cosa dice il Concilio: «I cristiani . . . non solo non pensano di contrapporre le conquiste dell’ingegno e dell’abilità dell’uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; ma, al contrario, essi - i cristiani - sono piuttosto persuasi che le conquiste dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto d’un suo ineffabile disegno. E quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva» (Gaudium et spes, n. 34).

Questo vale per chi pone a confronto il cristianesimo con l’umanesimo del lavoro moderno; e vale specialmente per chi infonde in questo lavoro le risorse della scienza, della tecnica, dell’organizzazione industriale, e produce opere ciclopiche e perfette come quella in cui ci troviamo, ovvero domina in tal modo le leggi e le forze della natura da aprire agli ardimenti dell’uomo imprese impensabili e meravigliose, come quella che proprio durante questa notte porta tre uomini a girare nello spazio celeste intorno alla Luna. Onore ai pionieri dell’espansione dell’intelligenza e dell’attività dell’uomo! E gloria a Dio che sul volto dell’uomo irradia la sua luce e imprime alle facoltà umane la regale potestà di dominare le creature che lo circondano (cfr. Gen. 1, 20 ss.; cfr. S. IRENEO, Gloria Dei vivens homo).

È questo un pensiero, un principio, che dovrà sempre più diventare sorgente di meditazione per l’uomo moderno, e suscitare in lui non l’orgoglio e la tragedia di Prometeo, ma quel sentimento primordiale e dinamico di simpatia e di fiducia verso la natura, di cui siamo parte e in cui siamo esploratori (cfr. EINSTEIN, Cosmic Religion, New York, 1931, 52-53); sentimento che si chiama meraviglia - sentimento di gioventù e d’intelligenza -, e che passando dall’osservazione incantata delle cose alla ricerca suprema della loro origine diventa scoperta del mistero, diventa adorazione, diventa preghiera.

Cari Lavoratori! sono parole difficili? No; sono parole consolanti, e proprio per voi, che vivete in questo quadro, che sembra a prima vista un enigma formidabile, un intreccio di macchine e di energie incomprensibile, un regno della materia che dispiega certi suoi segreti, che voi trasformate con una lotta tremenda e abilissima in elemento utile ad altri lavori, perché sia poi utile al servizio e al bisogno dell’uomo. Voi avete davanti una visione estremamente realista, ma non materialista. Voi sapete come trattare la materia, che sembra ingrata e refrattaria ad ogni tentativo dell’arte umana; sapete trattarla e dominarla, perché, da un lato, siete diventati così intelligenti, voi e chi vi dirige, da scoprire le leggi nuove del mestiere umano, cioè dell’arte di dominare le cose, e, d’altro lato, avete scoperto, voi e i vostri maestri, le leggi nascoste nelle cose stesse: le leggi? Che cosa sono le leggi, se non pensieri? Pensieri nascosti nelle cose, pensieri imperativi che non solo le definiscono con i nostri nomi comuni, ferro, fuoco, o altro, ma che danno ad esse un loro essere particolare, un essere che da sé, è evidente, le cose non sanno darsi, un essere ricevuto, un essere che diciamo creato. Voi incontrate ad ogni fase del vostro immane lavoro questo essere creato, che VUOI dire pensato. Pensato da Chi? Voi, senza accorgervi, estraete dalle cose una risposta, una parola, una legge, un pensiero, ch’è dentro le cose; un pensiero che, a ben riflettere, ci porta a rintracciare la mano, la potenza, che diciamo?, la presenza, immanente e trascendente, cioè li dentro e li sopra, d’uno Spirito Pensante e Onnipotente, al quale siamo abituati a dare il nome, che ora Ci trema sulle labbra, il nome misterioso di Dio.

LAVORO E PREGHIERA HANNO UNA RADICE COMUNE ANCHE SE ESPRESSIONE DIVERSA

Cioè, cioè, cari Lavoratori! voi vedete come quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come se foste in Chiesa; voi, senza pensarvi, voi qui venite a contatto con l’opera, col pensiero, con la presenza di Dio. Voi vedete come lavoro e preghiera hanno una radice comune, anche se espressione diversa. Voi, se siete intelligenti, se siete veri uomini, potete e dovete essere religiosi, qui, nei vostri immensi padiglioni del lavoro terrestre, senza altro fare che amare, pensare, ammirare il vostro faticoso lavoro.

Abbiamo detto faticoso; cioè abbiamo riconosciuto l’aspetto umano dell’opera vostra. Qui due mondi s’incontrano: la materia e l’uomo; la macchina, lo strumento, la struttura industriale da una parte, la mano, la fatica, la condizione di vita del lavoratore dall’altra. Il primo mondo, quello della materia, ha una sua segreta rivelazione spirituale e divina, Noi dicevamo, da fare a chi la sa cogliere; ma quest’altro mondo, che è l’uomo, impegnato nel lavoro, carico di fatica, e pieno lui stesso di sentimenti, di pensieri, di bisogni, di stanchezza, di dolore, quale sorte trova qui dentro? Qual è, in altri termini, la condizione del Lavoratore impegnato nell’organizzazione industriale? sarà macchina anche lui? puro strumento che vende la propria fatica per avere un pane, un pane da vivere; perché prima e dopo tutto, la vita è la cosa più importante d’ogni altra; l’uomo vale più della macchina e più della sua produzione. Sappiamo bene tutte queste cose, le quali hanno assunto, nel tempo passato e ancora assumono, nel tempo nostro, una importanza nuova, immensa, predominante; e hanno avuto la loro espressione in quel complesso di problemi e di lotte, che chiamiamo la questione sociale. Tutti sanno quali sono stati i fenomeni culturali, storici, sociali, economici, politici, nei quali la questione sociale si è posta e si pone. Non è in questo momento che se ne vuole parlare.

In questo momento a Noi, e certo a voi, preme di risolvere con qualche risposta, sia pure molto sommaria, l’obbiezione che Noi stessi abbiamo sollevato entrando qua dentro; e cioè: che cosa fa . il messaggero del Vangelo qua dentro? che cosa può dire il rappresentante di Cristo a questo vostro mondo del lavoro moderno? a voi, specialmente, lavoratori delle braccia, datori di quella fatica fisica, umile ed estenuante, che ancora nessuna macchina vale a sostituire?

Cari Lavoratori! sotto questo aspetto, quello umano, la Nostra parola diventa più facile, e quasi Ci erompe dal cuore perché Ci sembra di leggerla nel vostro cuore. Che cosa avete nel cuore? siete uomini: siete per questo felici? avete tutto quello che vi spetta come uomini e che voi profondamente desiderate? Questo certamente non può del tutto verificarsi; non lo è per alcuno; non lo è, forse tanto meno, per voi. Ciascuno porta in fondo al suo animo una sofferenza: siete miseri? siete veramente liberi? siete affamati di giustizia e di dignità? siete desiderosi di salute? bisognosi di amore? Avete nel cuore sentimenti di rancore e di odio? avete ansia di vendetta e di ribellione? Dov’è per voi la pace, la fratellanza, la solidarietà, l’amicizia, la lealtà, la bontà? dentro e fuori di voi?

LA CHIESA VI CONOSCE VI INTERPRETA VI DIFENDE IN PIENA GIUSTIZIA

Noi vi diremo una cosa, che dovrete ricordare: noi vi comprendiamo. Dicendo noi, diciamo la Chiesa. Sì, la Chiesa, come una madre, vi comprende. Non dite e non pensate mai che la Chiesa sia cieca ai vostri bisogni, sorda alle vostre voci. Ancora prima che voi abbiate coscienza di voi stessi, delle vostre condizioni reali, totali e profonde, la Chiesa vi conosce, vi studia, vi interpreta, vi difende. Anche più che voi talvolta non pensiate. Che direste se noi, la Chiesa, ci limitassimo a conoscere le passioni che hanno agitato in tanti modi le classi lavoratrici? Che cosa moveva queste passioni? Il desiderio, il bisogno di giustizia. La Chiesa non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma la Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove. E badate bene: non di solo pane vive l’uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il Lavoratore, ma di giustizia civile e sociale. Ancora per questa rivendicazione la Chiesa vi comprende e vi aiuta. E di più: voi avete altri bisogni e altri diritti; a tutelare i quali la Chiesa molto spesso rimane l’unica vostra avvocata; i bisogni e i diritti dello spirito, quelli propri di figli di Dio, quelli di cittadini del regno delle anime, chiamate ai veri e superiori destini della pienezza della vera vita presente e di quella futura. Non siete voi elevati a questa eguaglianza, che supera ogni dislivello sociale? Anzi non siete fra tutti i preferiti del Vangelo, voi se piccoli, voi se poveri, voi se sofferenti, voi se oppressi, voi se assetati di giustizia, voi se capaci di gioia vera e di amore vero?

La Chiesa questo pensa e dice di voi e per voi. Ed è chiaro il perché. Perché la Chiesa è la continuazione di Cristo. La Chiesa è il tramite che porta attraverso i secoli e diffonde per tutta la terra la Parola del Signore, anzi la presenza, avvertita solo da chi crede, di Gesù, di quel Gesù, del quale questa notte commemoriamo e in noi, spiritualmente, rinnoviamo la nascita.

REALTÀ NECESSARIA E SUBLIME: CRISTO È PRESENTE FRA VOI

Dite una cosa: trovate strano, allora, trovate anacronista, trovate nemico il messaggio del Vangelo qui dentro? non vi sono uomini vivi, uomini sofferenti, uomini bisognosi di dignità, di pace, di amore qui dentro, che non comprendono il pericolo d’essere ridotti ad esseri di una «sola dimensione», quella di strumenti, e che non si accorgono proprio qui (vogliamo dire nel cuore del mondo industriale in grande stile), dove il pericolo di questa disumanizzazione è maggiore, proprio qui il soffio del Vangelo, come ossigeno di vita degna dell’uomo, è più che mai al suo posto, e la presenza umile e amorosa di Cristo è più che mai necessaria?

Ecco, figli carissimi, perché qua siamo venuti. Siamo venuti per voi. Siamo venuti, affinché la Nostra presenza vi dimostrasse la presenza consolatrice, salvatrice di Cristo in mezzo al mondo meraviglioso, ma vuoto di fede e di grazia, del lavoro moderno. Siamo venuti per lanciare di qui, come uno squillo di tromba risonante nel mondo, il beato annunzio del Natale all’umanità che sale, che studia, che lavora, che fatica, che soffre, che piange e che spera; e l’annuncio è quello degli Angeli di Bethleem: oggi è nato il Salvatore vostro, Cristo Signore.

 

SANTA MESSA NATALIZIA NELLA CAPPELLA PARROCCHIALE DI S. AGAPITO

OMELIA DI PAOLO VI

Santo Natale, 25 dicembre 1969

 

L'odierna solennità ci ricorda il Mistero della Incarnazione. È una realtà che non ha l’eguale, sbalordisce e sempre ci esalta: È il Signore, è Dio fatto Uomo. Se oggi tra gli uomini, come in altri tempi, vi sono coloro che negano o mettono in dubbio l’esistenza di Dio, sempre più valide sono le prove della sua realtà e della sua opera. Vi sono tante mirabili cose che noi ammettiamo e di cui godiamo pur senza vederle. Ebbene Dio c’è, esiste: da Lui tutto dipende e deriva: chi lo nega è nell’assurdo. Tra poco noi tutti ripeteremo: «Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra . . .». E ne celebreremo la gloria.

Infatti, questo Dio invisibile, eterno, che avvolge il creato, ha valicato l’abisso che ci separa da Lui, ed è venuto tra noi. In quale modo? Ecco il presepio a ripresentarci l’avvenimento in Betlemme. Maria depone il Divino Pargolo, nato per opera dello Spirito Santo, nella mangiatoia degli animali. Poteva apparire ne! mondo in maniera più povera e squallida di quella prescelta? Certamente no. E allora, dinanzi a tanta benignità sono ovvie due domande: Perché e per che cosa è entrato nel mondo il Eiglio di Dio fatto Uomo? Nello stesso Credo è la duplice risposta: «Per noi uomini e per la nostra salvezza . . .».

Il Natale è festa grande - continua il Santo Padre - perché ricorda il fatto che Gesù è venuto sulla terra, assumendo le sembianze umane per avvicinare tutti noi; e proprio perché nessuno avesse timore o soggezione o addirittura diffidenza a causa della sua venuta, ha scelto, per nascere, il posto più umile, l’ultimo posto, là dove non è difficile a nessuno d’avvicinarlo. Ha voluto apparire a noi intenzionalmente piccolo ed è venuto al mondo umilmente, anche se l’umanità non aveva fatto nulla per andare incontro degnamente al suo amore. Nessuno gli aveva assicurato fedeltà; anzi, prima ancora che venisse, egli era stato dimenticato, offeso con il peccato.

Per venire fino a noi egli ha valicato lo stesso grande abisso che separava l’umanità dal Creatore. L’uomo era stato indegno del suo amore.

Egli è venuto proprio perché noi eravamo indegni; la nostra morte spirituale lo ha spinto a venire e a farsi povero e fragile come noi, tranne naturalmente che nel peccato. Anzi Egli è venuto per ognuno di noi. Si può ben ripetere con l’Apostolo: per me. Ognuno è stato oggetto di pensiero da parte di Dio. Egli ha voluto divenire fratello, collega, amico nostro. Ed è venuto per amore. Ciascuno di voi, dunque - prosegue Sua Santità - deve riflettere su questo; deve sentire dentro di sé: io sono stato amato da Dio. Quanto è felice un bambino, quando non tarda ad accorgersi che la sua mamma gli. vuol bene; e come esprime la sua gioia! E ancora: osservate un giovane che va cercando, nella immensa città, un po’ di lavoro. Come è triste quando vede che tutti gli voltano le spalle e non tengono conto della sua richiesta; ma quanto è, invece, felice allorché sul suo cammino incontra qualcuno che lo comprende, che lo invita ad aprire il cuore a buona speranza! Così è sul piano dei nostri rapporti con Dio, venuto per noi sulla terra: quanta gratitudine gli dobbiamo per il bene che ci ha dimostrato e sempre ci manifesta: un bene infinito, perché promana su Dio. Noi siamo sotto il cono della sua luce, illuminati dall’effusione dei suoi raggi che ci scrutano per metterci davanti a Lui, proprio perché Gesù Cristo è venuto per volerci bene. Dio, dunque, ci pensa; ci ama.

Ed ecco: in questo santissimo giorno del Natale l’annunzio ci viene ripetuto: il divino Amore per tutti noi. Avete sentito poco fa la lettura dell’Epistola nella quale San Paolo ricorda che oggi «è apparsa la bontà del Signore!». Il Natale va considerato, appunto, come un fiotto di bontà che si riversa su ogni uomo. Non possiamo, davvero, rimanere inerti, indifferenti di fronte al mistero di questo amore che ci insegue e ci accompagna, in un mondo dove la gente non si comprende e dove tutti cercano di eliminare gli altri o almeno difendersi da coloro con i quali si convive, in un mondo fatto di indifferenza, se non addirittura di odio. Invece il Signore ci vuole ed invita, ci capisce, ci chiama per nome, suggerisce al nostro cuore parole attraverso le quali sentiamo chiaramente di essere degli eletti e prediletti nel senso più alto e più vero di questa realtà.

Sentiamo, quindi, profondamente l’insegnamento particolare del Natale 1969 e della sua presenza a S. Agapito. Il Papa ricorda alla folla degli umili che Cristo si è fatto simile a loro, ha voluto prendere, Egli, il Figlio di Dio, la statura dell’uomo, assumere le sue miserie, i suoi bisogni, addossarsi perfino i suoi peccati. È venuto non per chiedere, ma per dare; è venuto per mettersi in una relazione con Lui che diventa misteriosa, stupenda, e che è il centro della fede. È venuto - qui è la risposta alla seconda domanda - non per chiedere, ma per dare; per essere pane e nutrimento dell’uomo; per essere con lui in comunione, cioè per fondersi in lui, come dice San Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!».

Possiamo soffermarci sui motivi di così ardente Carità: Gesù Cristo è venuto sulla terra per essere conosciuto e capito dall’uomo, si è rivelato prendendo le sue sembianze e dire: Guarda quest’uomo e vedrai Dio! Lo ha detto, del resto, il Divino Maestro nell’ultima cena: «Chi vede me, vede il Padre mio». D’altra parte, il Signore diventa esigente quando chiede all’uomo ciò che c’è di più suo e di più prezioso in lui, il suo cuore. Così Gesù è venuto per essere compreso, amato, corrisposto. Qui, attraverso il diaframma della natura umana, il Salvatore diventa esigente: vuole, in realtà, che noi lo amiamo. Dice a ogni redento: dammi il tuo cuore. Questo è il cristianesimo che fa amare Dio oltre gli affanni e le preoccupazioni terrestri, anche attraverso i dolori che spesso incontrano, e quanto è addirittura difficile vivere nella alternativa di dolorose esperienze.

In tutto ciò è il ricordo del Natale che il Papa intende lasciare ai cari ascoltatori: il Signore è venuto per amarvi e per essere riamato: non respingete tale richiesta di amore, quando Egli bussa al vostro cuore per chiedervi la vostra persona, la vostra anima, non per rubarvela, non per rendervi schiavi, non per farvi perdere, come oggi si dice con linguaggio solenne, la vostra personalità, ma per darvi, invece, una felicità completa. Si può essere, infatti, malati, si può essere poveri, ma nello stesso tempo sentire l’adorabile voce che ripete: «Beati voi che siete poveri».

Orbene, sembra umanamente inconcepibile dire questa parola oggi anche a voi; eppure, se voi amate Cristo e avete capito qualche cosa di lui, non potrete non essere felici, né giammai vi mancherà una grandezza di animo, una dignità interiore, una coscienza umana. Di conseguenza, vi sentirete davvero felici, assurgendo a una statura che nessuna professione, o carriera, potenza, ricchezza potrà dare. Allora, vi sentirete uomini elevati al privilegio d’essere figli di Dio, amati da Dio, anche se vivete in difficoltà, in povertà e nella continua sofferenza. Questa - conclude il Santo Padre - non è parola mia, ma l’eco di una Parola che trascende la sua umile persona, e domina il mondo: «Beati voi, perché vostro è il regno dei cieli». Questo è il Natale. Siate buoni, attenti a ben accogliere il grande messaggio, e sarete felici con la benedizione del Successore di Pietro, con la benedizione stessa di Dio.

 

MESSE DE MINUIT

HOMÉLIE DU SAINT-PÈRE

Noël 25 décembre 1970

 

Messieurs et Chers Amis, Nous devons avant tout nous rendre compte du motif de cette célébration nocturne. Pourquoi sommes-nous ici? Que sommes-nous venus faire? Rendre hommage à une habitude traditionnelle? à une simple singularité rituelle? 

Non; ce qui nous tire de notre sommeil, ce que nous nous sentons obligés de commémorer avec une conscience vigilante est un fait historique, un événement d’une importance suprême et unique, un message que nous sommes incapables de définir en termes adéquats et que notre intelligence ne réussit pas à comprendre entièrement. Une expression théologique, exubérante de réalité historico-humaine et d’insondable mystère, le présente à notre esprit émerveillé et incrédule, à notre foi et à notre joie: il s’agit de l’Incarnation. Il s’agit du Verbe de Dieu qui s’est fait homme. Quelque imparfaite et problématique que puisse être l’idée que nous avons de Dieu, de son existence, de sa transcendance, du rapport créateur et existentiel de la divinité avec les choses finies, que nous connaissons, et avec l’histoire humaine qui se déroule dans le temps, nous ne pouvons nous empêcher d’être ébahis par l’hypothèse, que nous reconnaissons ici comme un fait réel et accompli: c’est le Verbe du Dieu, Dieu lui-même, qui entre personnellement sur la scène terrestre et humaine, et assume en lui une vie humaine en tout semblable à la nôtre (hormis le péché) (Hebr. 4, 15), existant ainsi toujours un quant à la personne, mais avec une double nature, divine et humaine. Et comme Fils de l’Homme, lui Fils de Dieu a vécu plusieurs années sur cette terre, il s’est rendu visible, avec un visage humain, il a grandi, il a travaillé, parlé, souffert parmi nous; bref, il s’est révélé, et il a accompli une mission qui ne peut pas ne pas regarder l’humanité entière et atteindre la destinée de tout homme, passé, présent et futur, de ce monde.

Ainsi en est-il. Tremblant et stupéfait, Nous répétons l’annonce de cette naissance extraordinaire, la naissance du Christ, le Verbe de Dieu fait chair, le Messie de l’histoire, le Sauveur du genre humain; et Nous faisons nôtres les paroles de l’ange du Seigneur: «Rassurez-vous, car voici que je vous annonce une bonne nouvelle (la bonne nouvelle, l’évangile par excellence) qui sera une grande joie pour tout le peuple: aujourd’hui, dans la cité de David (Bethléem), un Sauveur vous est né, qui est le Christ Seigneur» (Luc. 2. 10-11). 

Ce n’est pas là une légende littéraire, ni un mythe fantastique; c’est un fait réel et concret, d’une nature et d’une importance telles que toute l’histoire humaine en demeure atteinte; c’est pour le rappeler que nous sommes ici, pour le célébrer, pour repenser encore à l’influence qu’il a sur nous. Ainsi se rouvre pour nous une méditation que chacun d’entre nous aura, d’une façon ou de l’autre, cent fois commencée: méditation sur le christianisme, sur sa réalité, sur son efficacité, sur le rapport qu’il a avec nous - ou du moins qu’il devrait avoir avec nous. Et par christianisme, en fin de compte, Nous entendons le Christ, son être, sa parole, son immanence dans la foi et dans la vie des hommes, sa présence aujourd’hui devant nous, sa figure apocalyptique, demain: le Christ, clef de toute question et de tout destin. 

Oh, Messieurs et Amis, que j’ose appeler frères! laissons-nous tous dominer par cette pensée extraordinaire: le Christ, le Verbe de Dieu descendu en forme humaine sur la scène du monde. Mais que cette pensée, loin d’engendrer en nous la crainte (ce qui serait pourtant tout-à-fait naturel), nous envahisse de joie et d’allégresse, comme nous l’a demandé le message céleste. Cette joie sera le cadeau que nous ferons à Jesus-Christ pour sa naissance parmi nous; ce sera notre offrande; notre humble effort d’accueil et de compréhension. Noël, nous le savons, est une fête joyeuse; elle nous apparaît bien telle dans l’amour et dans la tendresse de cette nouvelle vie qui naît (Cfr. Io. 1 6 , 21), dans la délicieuse faiblesse de l’enfance, dans le cadre de l’intimité si simple et sublime du foyer domestique.

Mais il y a plus. Noël n’est pas seulement la sublimation de la vie naissante, fruit de l’amour, étincelle de nouveauté et d’innocence, gage d’un monde meilleur, que nous espérons pour demain, celui de la nouvelle génération. Ce n’est pas seulement une joie qui naît de la terre. Observez bien: c’est une joie qui vient d’en-haut, c’est la révélation de la bonté infinie de Dieu, le signe d’un dessein mystérieux qui touche le monde et les hommes, c’est une pensée d’amour infini qui a ouvert le ciel clos du mystère impénétrable de la vie intime du Dieu inconnu, et l’a communiqué à la terre, comme une pluie illuminante et vivifiante. L’apôtre Paul nous dit que «la grâce de Dieu est apparue, salutaire pour tous les hommes» (Tit. 2, 11), et l’apôtre Jean: «Dieu a tant aimé le monde qu’il a donné son Fils unique» (Io. 3, 16). Nous nous trouvons devant une conception universelle des destins suspendus sur l’humanité, et qui ont même pénétré dans la trame de l’histoire: c’est une conception de salut, une conception de clémence et d’amour, une conception tellement optimiste que même les malheurs, les souffrances, et la mort elle-même y trouvent une issue positive, pour le bien de l’homme (Cfr. Rom. 8 , 28-31). Telle est la vérité sur la vie, telle est la philosophie qui remporte la victoire sur toutes les expériences et sur toutes les tentatives pour expliquer les choses et les faits et dire le dernier mot sur la réalité du monde. 

Notre dernier mot à Nous, qui sommes spécialement obligè d’observer le monde dans ses expressions les plus générales et les plus significatives, et d’en peser la valeur selon leur classification définitive, notre dernier mot serait au contraire facilement pessimiste, il déboucherait sur le doute, sur l’absurde, sur le néant. Nous serions des hommes myopes, aveugles, des hommes déçus, des hommes tentés par le scepticisme et le désespoir: où va le monde? que vaut la vie? qu’est-ce que la civilisation? Peut-on vraiment envisager de faire régner sur terre l’ordre, la justice, la paix, l’amour? Tels serions-nous, et telles seraient les conclusions de notre sagesse déçue, s’il n’y avait pas Noël, c’est-à-dire l’inauguration d’une économie de salut et d’espérance! Les efforts du Sisyphe que nous sommes ne l’ont pas instaurée, mais elle nous est donnée par un Amour transcendant qui n’a ni mesure ni regret, et veut faire de nous, de l’humanité, un peuple nouveau, un peuple bon et heureux (Cfr. 1 Petr. 2, 5, 9). 

Noël, fête de joie et d’espérance, fête qui anime le devenir humain orienté vers une plénitude qui ne faillira pas. 

Saluons-la et célébrons-la comme notre fête et comme la fête du monde.

Sachant que cette cérémonie est retransmise directement par la télévision à de nombreux pays de l’Amérique latine et à la France, Nous désirons leur adresser nos souhaits de paix dans le Seigneur.

A vous tous qui vous unissez à la célébration de cette messe, vont nos voeux de joyeux et fervent Noël. Nous souhaitons que chacun de vous accueille au plus profond de son coeur le message de paix et d’amour fraternel apporté par l’Enfant Jésus, et Nous vous bénissons.

Aos amados filhos do Brasil, queremos desejar que cheguem as santas alegrias do Natal, que o mundo vive nesta hora. 

Que elas lhes sejam portadoras da luz de Cristo, a iluminar de radiosa esperança os caminhos do seu futuro; do amor de Deus que estreite mais a fraternidade de todos, em serena familia. 
A todos, muito Boas-Festas! 

A Vosotros, queridísimos hijos de la América de lengua castellana, Nuestra felicitación de Navidad con el ardiente deseo de que la vivencia del Misterio de Dios Encarnado, no se limite a estos emocionados momentos sino que, diaria y dinámicamente, imprima más fe y caridad en vuestras almas, más amor en vuestras cristianas familias, con Nuestra Bendición Apostólica.

 

MESSA DI MEZZANOTTE NELLA CAPPELLA SISTINA

OMELIA DI PAOLO VI

Santo Natale, 25 dicembre 1971

 

Questa è un’ora d’intensa meditazione. La singolarità della cerimonia (l’ora notturna, l’oggetto della celebrazione, cioè il Natale, l’incidenza che questa festività ha sul costume familiare e sociale . ..) ce lo ricorda con forza. La veglia in questo momento è d’obbligo, e tutti ci vuole attenti. L’oscurità del tempo si fa luce per lo spirito.

Che cosa meditiamo? Noi meditiamo la nascita di Gesù Cristo nel mondo, avvenuta 1971 anni fa, a Bethleem di Giudea, nota come la città di David, nelle circostanze che tutti conosciamo. Noi abbiamo davanti agli occhi dell’immaginazione il quadro dell’avvenimento. Si riflette così, si rinnova, come figura in uno specchio, in ciascuna delle nostre anime, e in forma mistica e sacramentale si rinnoverà tra poco, con misterioso realismo su questo altare. Qui Cristo sarà con noi. Uno speciale fascino contemplativo arresta la nostra attenzione.

Osserviamo. La nostra attenzione può prendere due vie. Una quella della scena storica e sensibile, rievocata dal Vangelo di S. Luca (il quale probabilmente se la sentì narrare da Maria stessa, la Madre, protagonista del fatto commemorato); è la scena del presepio, la scena idilliaca del misero alloggio di fortuna, scelto dai due pellegrini, Maria e Giuseppe, per questo maturo avvenimento, una nascita; tutto c’interessa: la notte, il freddo, la povertà, la solitudine; e poi l’aprirsi del cielo e I’incomparabile annuncio angelico, e il sopravvenire dei pastori. La fantasia ricostruisce i particolari; è un paesaggio arcadico, che sembra familiare, per una storia incantevole. Tutti diventiamo bambini, e gustiamo un momento delizioso. Ma la nostra mente è attratta da un’altra via di riflessione, quella profetica. Chi è Colui che è nato? L’annuncio risuona preciso nella notte stessa: «è nato oggi per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Subito l’avvenimento assume una meravigliosa qualifica, quella d’una meta raggiunta. Davanti a noi non è solo un fatto sempre grande e commovente, quello d’un nuovo uomo, che entra nel mondo (Cfr. Io. 16, 21), ma è una storia, un disegno che attraversa i secoli, comprende eventi disparati e distanti, fortunati e disgraziati, che descrivono la formazione d’un Popolo, e soprattutto la formazione in lui d’una coscienza caratteristica e unica, quella d’un’elezione, d’una vocazione, d’una promessa, d’un destino, d’un uomo unico e sommo, d’un Re, d’un Salvatore; è la coscienza messianica.

Facciamo bene attenzione a questo aspetto del Natale. Esso è un punto d’arrivo, che svela e attesta una linea, precedente un pensiero divino, un mistero operante nella successione dei tempi, una speranza indefinita e grandiosa, custodita da una piccola frazione del genere umano, ma tale da conferire un senso al cammino inconscio di tutte le genti (Cfr. Is. 55, 5). Il Natale di Cristo segna sul quadrante dei secoli il momento fatidico del compimento di questo piano divino, librato, sicuro sopra il torrente tumultuante della storia umana, e segna quella «pienezza dei tempi», di cui parla S. Paolo (Gal. 3, 4; Eph. 1, 10), ed in cui si osserva una convergenza dei destini umani; si avvera la lontana profezia d’Isaia: «Ecco ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio; e il principato è stato posto nelle sue spalle, e sarà chiamato col nome di ammirabile, di consigliere, Dio, forte, padre del Secolo futuro, principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Siederà sul trono di David e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da adesso e in perpetuo» (Is. 9, 6-7). Sì, sopra questo bambino, che è Figlio di Dio e figlio di Maria, nato sotto il regime della legge mosaica (Gal. 4, 4), arriva tutta la tradizione trascendente, di cui Israele era portatore; ed in Lui si rigenera, si trasforma e si diffonde nel mondo. Questo piccolo Gesù di Bethleem è il punto focale della storia umana; in lui si concentra ogni cammino umano, sfociando su quello rettilineo della elezione dei figli di Abramo, il quale vide da lontano, nella notte dei secoli, questo futuro punto luminoso, e, come Cristo stesso ci confidò: «vide ed esultò» (Io. 8, 56).

Ed il prodigio continua. Proprio come avviene dei raggi che si fondono in un punto focale, e poi da questo punto si riaprono in un nuovo cono di luce, così la storia religiosa dell’umanità, cioè la storia che dà unità, senso e valore alle generazioni, che si moltiplicano e si agitano e marciano a testa bassa sulla terra, ha la sua lente in Cristo, che tutta la assorbe quella passata, e tutta la rischiara quella futura, fino all’estremità del tempo (Cfr. Matth. 28, 20).

Questa visione del Natale, che è la vera, è specialmente per noi, per voi. Signori Rappresentanti di Popoli, questa notte qua convenuti per celebrare il mistero del Natale, è per tutti motivo di riflessione sulle sorti del mondo. Esse sono collegate con l’umilissima culla, in cui è adagiato il Verbo di Dio fatto carne; anzi queste sorti, per le quali voi lavorate a titolo altamente qualificante, ne dipendono: dove arriva quell’irradiazione cristiana, di cui dicevamo, e che si chiama Vangelo, arriva la luce, arriva l’unità, arriva l’uomo non più a testa bassa, ma in piena statura erta, arriva la dignità della sua persona, arriva la pace, arriva la salvezza.

Signori! amici e fratelli cercatori e scopritori di Cristo! Ricordiamo questo singolare momento. Un duplice sentimento probabilmente nasce nei cuori. Uno, quasi di diffidenza e di timore davanti al nuovo Re, che ancor oggi nasce nel mondo. È una potenza. Che cosa temono di più d’una nuova potenza i Potenti di questa terra? e se poi è una potenza questo Gesù, che dichiara non essere di questo mondo il suo regno, ma essere d’una sfera trascendente, forse oggi lo temiamo e lo respingiamo anche di più, gelosi come siamo della nostra sovrana autonomia, agnostica, laicista o atea, che non ammette alcun regno di Dio. E l’altro sentimento è invece di confidenza, Quale potenza è Cristo, se non per noi, per nostro vantaggio, per nostra salvezza, per nostro amore? Non eripit mortalia qui regna dat caelestia, non ci porta via i nostri regni temporali Colui ch’è venuto per regalarci i suoi regni celesti (Inno dell’Epifania). Egli è venuto per noi, non contro di noi. Non è un emulo, non è un nemico; è una guida per il nostro cammino, è un amico. Per tutti; ciascuno può ben dire: per me. Certo, venuto Lui fra noi, un dramma, anzi una lotta può cominciare, pro, ovvero contro Cristo. La storia umana si svolge ormai intorno a Lui; il Vangelo è il terreno di incontro, o di scontro (Cfr. Luc. 2, 33).

Ma in questa notte, in questo luogo, in questo incontro, la scelta è facile, è dolce, è forte; ciascuno può dire con cuore esultante: Egli è venuto per me! (Cfr. Gal. 2, 20; Eph. 9, 2; Io. 3, 16; 15, 9)

 

SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

OMELIA DI PAOLO VI

Lunedì, 25 dicembre 1972

 

Adesso la mia parola si rivolge principalmente a voi, Uomini del cantiere, a voi, Lavoratori, Minatori, Operai, Manovali, e a quanti con voi sono associati nell’ardua fatica, in quella fisica specialmente, la quale impone alle membra del corpo sforzo, tensione, stanchezza, e intorpidisce il pensiero.

Io voglio svegliare un momento la vostra attenzione, e rompere il sonno a cui avreste ben diritto, per dirvi innanzi tutto perché io sono venuto questa notte fra voi. Perché venuto? Perché ho una notizia da portare anche a voi. Vedete: io sono un messaggero; diciamo la parola giusta: sono un apostolo. Apostolo vuole appunto significare messaggero, cioè un uomo mandato, un portatore di notizie; nel caso mio, un portatore d’un annunzio straordinario, inviato apposta per comunicarvi una buona notizia, in termine proprio si dice un «vangelo», una comunicazione bellissima, che tutti ci riguarda, e riguarda anche voi.

Io sento venire da voi due domande; la prima: Chi ti manda? e da che parte vieni? Tu non sei il Papa, che sta a capo degli altri? chi può comandare al Papa, e mandarlo come un inviato qualunque? Ebbene, voi sapete come sono andate le cose: è stato Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo (del Quale parleremo subito), che ha scelto dodici suoi apostoli e li ha specializzati in una particolarissima funzione, quella appunto d’essere i portatori della sua Parola e dei suoi ordini, e per ciò li ha chiamati «apostoli» (Luc. 6, 13). Primo fra gli apostoli fu scelto Simone, a cui Gesù cambiò il nome: «Tu ti chiamerai Pietro!» (Io. 1, 42; Matth. 16, 18), per significare la solidità e la perennità della funzione a lui affidata. Ebbene chi è il successore di Pietro? Voi lo sapete, è il Papa. Ebbene, ecco allora Chi mi manda; mi manda il Signore, Gesù Cristo, del quale, sì, sono l’apostolo e il vicario, ma sono nello stesso tempo il servitore, anzi, proprio in forza del ministero, cioè del servizio a me affidato, sono anche il servitore di tutti, il vostro servitore. Un servitore, che non ha altro scopo che il bene di tutti, il vostro bene, in questo momento.

E allora la vostra seconda domanda: Ebbene, quale notizia ci porti? Noi già la sappiamo: è la notizia che tutti sanno, la notizia che oggi è Natale. Vero, Figli e Fratelli carissimi: questa è la notizia, la grande notizia che io vi porto; ed è per essa che si fa festa. Ma è tale notizia ch’è sempre nuova, perché non è mai capita abbastanza; anzi molti neppure ci pensano, e molti forse nemmeno vorrebbero ricordarla. Mentre invece essa riguarda un fatto talmente straordinario che sorpassa in importanza tutti gli avvenimenti passati e futuri della storia; e il fatto è questo: il Verbo di Dio, cioè il Pensiero di Dio, ch’è Dio Lui stesso, si è fatto uomo, uomo come noi, nostro simile, nostro fratello, nascendo da Maria, Vergine e Madre, e venendo al mondo, come oggi ricordiamo, in una stalla, povero come nascendo nessuno lo fu, Lui padrone del mondo, umile, piccolo, debole, e subito disponibile per essere avvicinato dalla povera gente . . . A pensarci, viene il capogiro, per la meraviglia, per la felicità, perché davvero è così; e perché, altro aspetto stupendo, Gesù (si chiamò così, Gesù, il Cristo, cioè il Messia), venne al mondo per salvare il mondo; Gesù è il Salvatore del mondo. Tutto gira intorno a Lui, tutto si concentra in Lui: Lui è il Signore, Lui il Maestro, Lui la vita . . .

Quanto, quanto vi sarebbe da dire! Ma ora mi preme far presto, e rispondere ad un’altra domanda, che forse voi avete in testa: sì, sì, così sarà; ma questo è un fatto antico, avvenuto 1972 anni fa, in un Paese lontano, in mezzo ad altra gente . . . noi, come c’entriamo? sarà un avvenimento unico e grande, ma non ci riguarda; perché il Papa, l’apostolo di quel Signore Gesù, viene qua, da noi, a raccontarci questo avvenimento sperduto nei secoli? Noi che ne sappiamo? e infine quale interesse ne abbiamo noi?

Ebbene, proprio questo a me preme di dirvi, di farvi in qualche modo capire. Occorrerebbe un lungo discorso; ma voi comprendete subito, se io vi ripeto le parole con cui l’Angelo annunziò ai Pastori quella nascita prodigiosa; disse infatti questo splendido Essere apparso nell’oscurità di quella notte: «oggi è nato un Salvatore per voi . . .» (Luc. 2, 11). Io ripeto qui: Gesù Cristo è nato per voi, per ciascuno di voi . . . Come può essere? così è perché la venuta di Dio nella carne umana è un tale fatto che dobbiamo dire universale, tocca tutto il genere umano! E poi Lui, Gesù, entrando nella scena della storia umana ha voluto incontrarsi di preferenza con gli uomini semplici, umili, poveri; e proprio con i Lavoratori, perché poi, cresciuto, fu Lui stesso uomo di comune fatica: fu chiamato «figlio del fabbro» (Marc. 6, 3); Giuseppe infatti, suo padre legale, putativo, faceva il falegname.

Ogni uomo può dire: Cristo è venuto per me, proprio per me (Cfr. Gal. 2, 20).

Tanto più ciascuno di voi lo può dire: Dio è venuto al mondo per me, per incontrarsi con me, per visitare me, per salvare me . . . Forse non avete mai chiaramente riflesso a questo scopo diretto del Natale. Cioè quello che io tento ora di farvi capire, di scolpire nella vostra memoria. Cristo si è fatto come uno di voi per rivelarvi un segreto che vi riguarda: voi siete amati da Lui! voi siete l’oggetto, il punto d’arrivo della sua venuta dal cielo. Non siete gente qualsiasi; non siete dimenticati dal cuore di Cristo, non siete «emarginati», non siete un semplice numero fra milioni d’altri numeri; siete l'Uomo, come Lui, siete la persona con cui Egli vuole trovarsi. Non dubitate: è così, è la verità. Non abbiate paura: Egli vi conosce, vi vuole bene, vi chiama per nome; Egli è venuto a cercarvi. E se voi foste poveri figli del mondo, che hanno smarrito il sentiero del bene, e non sanno come ritornare nella casa di Dio, il Padre, Egli, se volete, vi prende per mano; anzi, come è figurato nella parabola della pecora perduta (Luc. 15, 5), è pronto a prendervi sulle sue spalle e a portarvi di peso nell’ovile della sua giustizia e della sua felicità.

Vorrei che voi aveste a comprendere la vostra dignità proprio derivante dal Natale di Cristo. «Egli è la luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo» (Io. 1, 9). Voi siete in prima fila. E comprendete allora quale conforto, innanzi tutto, vi può nascere nel cuore pensando: qualcuno (ed è Cristo) mi ha voluto bene, qualcuno ha un ricordo affettuoso proprio per me, qualcuno ha stima di me, qualcuno (e sempre è Cristo) riconosce il rispetto, la giustizia, il diritto, che mi sono dovuti . . . È Cristo. È il Maestro, è il Liberatore, è il Salvatore; ed è mio!

E potete allora comprendere come da questo rapporto fra voi e Cristo, il rapporto che nasce dal suo amore, e che vi associa alla grande famiglia umana amata e salvata da Lui, la Chiesa, può e deve nascere una nuova maniera d’essere uomini: diventiamo tutti figli di Dio, tutti fratelli .,. Non dev’esserci bisogno di fare ricorso all’odio, alla guerra, alla violenza, all’intrigo per instaurare un ordine migliore nella convivenza umana, cioè nella società. Se davvero Cristo la penetra e la cementa col suo amore, dobbiamo e possiamo sperare che un mondo migliore finalmente nascerà. Quando? come? non è facile, né questo è il momento di rispondere; ma questo possiamo dire: oggi comincia, oggi ricomincia.

A voi lo diciamo, perché vi consideriamo i rappresentanti del mondo del lavoro, anzi del mondo di chi ha fame e sete di giustizia, di chi è povero, di chi soffre, di chi piange, di chi spera, di chi crede e prega. A voi, a tutti, e specialmente a cotesto mondo avido di salvezza e di rinnovamento, di cui oggi in voi vogliamo vedere la presenza davanti a noi, sì, davanti al vicario di Cristo (un vicario, come vedete, anche lui misero uomo e bisognoso di misericordia e di amicizia), noi annunziamo (Cfr. Luc. 4, 18, ss. ): «questo è il giorno che il Signore ha fatto: esultiamo e rallegriamoci» (Cfr. Ps. 117, 24). È il Natale!

 

SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

OMELIA DI PAOLO VI

Martedì, 25 dicembre 1973

 

Ecco, Fratelli di questa Chiesa Romana!

Ecco, Fratelli dell’intera Chiesa cattolica sparsa nell’orbe! Ecco, Fratelli del mondo intero, che con noi vi qualificate cristiani!

E voi, Fratelli in virtù dell’umanità, che tutti ci uguaglia nella vita presente, cittadini della terra!

Ecco il vaticinio angelico che noi questa notte vi ripetiamo:

È venuto! 
È venuto! 
È venuto!

Chi è venuto?

È venuto, è nato oggi per noi un Salvatore!

Il Salvatore, Cristo Signore!

Colui che i secoli hanno atteso, e le generazioni tutte, a modo loro, hanno preconizzato! È venuto il primogenito, l’autentico Figlio dell’uomo. È venuto il vero Fratello d’ogni essere umano. Si chiama Gesù, che vuol dire Salvatore. È venuto il Messia, Colui che decide dei destini del mondo. Ecco: «ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio; e il principato è stato posto sulle sue spalle, e sarà chiamato ammirabile, consigliere, Dio, forte, padre del secolo che verrà, principe della pace» (Is. 9, 6). Cosi lo annunciò il Profeta. Tremano le mie labbra; perché il suo vero «nome è Emmanuel, che significa: Dio con noi» (Cfr. Matth. 1, 23-24). Egli non è soltanto il Figlio dell’uomo, per eccellenza; Egli è il Figlio unigenito del Dio vivente (Cfr. Matth. 16, 16; Io. 1, 18). Sì, perché Egli è il Verbo stesso di Dio, Dio lui stesso, il quale si è fatto carne, e sta con noi (Cfr. Io. 1, 14), uomo come noi, uomo-Dio per noi.

Quando è venuto? dove è venuto?

Oh! voi lo sapete. È venuto al tempo del primo Imperatore Romano Cesare Augusto (lo abbiamo appreso adesso dalla lettura del Vangelo) venti secoli fa; è venuto nella storia, è venuto nel tempo, quando l’orologio divino dei destini umani segnava l’ora della pienezza (Gal. 4, 4); è venuto per fissare il punto focale degli avvenimenti religiosi, che danno senso all’esistenza dell’umanità.

Dove? chi non lo sa? a Bethlehem; in un umilissimo ospitale presepio, accanto a quel minimo-grande paese, sul quale già posava la profezia della privilegiata elezione messianica (Matth. 2, 6; 5, 2), e al quale oggi convergono i cuori incantati dei nostri fanciulli, con quelli pensosi di tutti i cristiani con voti di pace.

E come è venuto?

O Donne, esultate, e ammirate fra voi tutte la benedetta!

È venuto per via di generazione umana: il Figlio di Dio è diventato insieme Figlio dell’uomo, perché nato, per virtù dello Spirito Santo, dal seno d’una Donna, una Vergine sempre Vergine, ma eletta alla missione privilegiata della Donna, la maternità; così Maria, la piena di grazia, - inchiniamoci tutti con beata commozione! - è diventata la madre di Cristo, la Madre di Dio!

È venuto bambino; è venuto fanciullo, è venuto operaio; è venuto maestro; è venuto profeta; è venuto re del Popolo di Dio; è venuto Redentore per assumere sopra di sé tutti i peccati del mondo, vittima in nostra vece, agnello di Dio per l’umanità; è venuto per la vita e per la risurrezione dell’uomo, Alfa ed Omega dell’universo; è venuto per fare di noi dei figli di Dio (Cfr. Io. 1, 12).

Fratelli, che ci ascoltate: date riflessione, date importanza all’annuncio che questa notte noi vi facciamo! Due aspetti attraggano la vostra attenzione: il valore universale di questa venuta; essa è come un sole sorgente; lo dice l’Evangelista Giovanni: «luce vera, che illumina ogni uomo» (Io. 1, 9). Ogni popolo, ogni storia, ogni cosa! E poi trasalite di nuova meraviglia e di gioia: il valore personale della venuta di Cristo. Ciascuno di noi può dire, deve dire: «è venuto per me!» (Cfr. Gal. 2, 20). Per me! Che nessuno pensi d’avere celebrato bene il Natale, se non s’è sentito investito e quasi folgorato da questa sempre nuova scoperta: Egli è venuto per me! La carità di Cristo mi colpisce e m’incalza (Cfr. 2 Cor. 5, 14); ciascuno deve dire e sentire in se stesso: io, io sono amato da Cristo!

Chi sperimenta in qualche misura questa inebriante e ormai solare verità natalizia, ritornando alla propria casa e alle proprie cose, sentirà nascere nel proprio cuore un canto spontaneo, il canto di questa festività: Gloria a Dio! e pace in terra! Un canto d’amore divino, il canto di Natale.

 

NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Notte Santa di mercoledì, 25 dicembre 1974

 

La nostra parola, che ora osa interpretare la voce del Natale ed il linguaggio simbolico di questo rito giubilare, è semplice ed unica: Venite! Sì, Fratelli, venite!

Ma è parola polivalente ! Vogliate ascoltarne la risonanza nel fondo dei vostri animi; vogliate procurare di comprenderla. Innanzi tutto perché essa vuol essere parola universale. A tutti, noi lanciamo come un grido di richiamo, questo invito del cuore: Venite! La parola risuona in questa basilica; ma essa è rivolta a tutti i Fedeli, a tutta la Chiesa qua convergente dai quattro punti cardinali della terra; venite! come «un Cuor solo ed un’anima sola» (Act. 4, 32) a celebrare insieme il Natale di Cristo ed a compiere insieme il Giubileo del rinnovamento e della riconciliazione, nel prodigio e nel gaudio di quella unità di fede e di amore, che il Signore ci lasciò suo comandamento e suo retaggio: venite!

E poi la medesima parola, piena di rispetto e di speranza, si effonde dovunque il nome di Cristo definisce una fratellanza e ne reclama una felice pienezza: venite! noi conserviamo sempre disponibile, intorno all’unico nostro e vostro Signore e Maestro, il posto d’onore e di amore, che a voi è dovuto in questo Natale di novità e di riconciliazione: venite! È l’invito ecumenico! L’invito subito si allarga nei grandi cerchi dell’umanità non cristiana, con lo stesso suono, ma con accento diverso, anche se non meno riguardoso e cordiale: anche voi, uomini amici, siete invitati, anche voi attesi all’incontro della nostra fraternità. Trema la nostra voce, di commozione, non d’incertezza, affermando che il richiamo è anche, e, in un certo senso, specialmente per voi, che siete solidali con noi, in Abramo, della nostra fede e tuttora figli della sua promessa, in noi già operante.

E ancora non tace la nostra chiamata. Essa vuole diffondersi verso i lontani, verso gli spiriti vagabondi, solitari, sfiduciati, verso i cuori chiusi, e perfino verso coloro che si sono resi refrattari alla religione e alla fede: venite! Sarà forse la nostra una parola al vento? In ogni caso, non sarà priva d’una sua segreta virtù, che non deriva dalla nostra debole voce, ma dal fatto inconfutabile al quale essa rende testimonianza: Cristo vi attende! Egli aspetta anche voi e voi forse con amorosa impazienza: venite! Voi ci domandate, Fratelli tutti e Uomini ai quali perviene questo nostro invito, tanto incalzante e tanto fiducioso: don e esso deriva? quali motivi lo mettono sulle nostre labbra?

Non chiedeteci in questo momento un’adeguata risposta: soltanto quella che deriva da voi stessi noi vi daremo; ed è questa: venite, perché questa è già la via dei vostri passi. Venite, perché ne avete inconscio desiderio e assoluto bisogno. Venite, perché il cammino dell’uomo è segnato verso la direzione, alla quale noi vi chiamiamo; diciamo la grande parola: la meta della vita umana è Dio! venite: e noi vi faremo incontrare o riscoprire quel Dio vivente, che non avete mai cessato di cercare. Lo andate cercando quando la traccia della vostra vita è semplice e primitiva, perché quasi per attrazione naturale noi siamo tutti orientati verso il polo originario e terminale della nostra esistenza; è la sintesi di Sant’Agostino, che scolpisce nelle note parole questo nostro destino: «Tu, o Dio, ci hai fatti per Te, e il nostro cuore non avrà pace finché in Te non riposi» (Conf. 1, 1). E anche oggi che la vita nostra non è più semplice, ma complicata nello sviluppo del suo pensiero e del suo progresso, la verità è sempre quella, anzi più quella che mai: perché dove sfocia il pensiero e dove il progresso nelle sue estreme conclusioni, quando non voglia perdersi nella notte del nulla, se non in un supremo anelito, in un inno estatico, verso l’Essere assoluto e necessario, ch’è il Dio della luce e della vita?

E ancora noi vi ripetiamo: venite! perché siamo peccatori, diciamolo con umile, ma salutare franchezza; il che vuol dire che se il prodigio del Natale non fosse realmente avvenuto non potremmo nemmeno camminare con speranza: la nostra sorte sarebbe disperata. Non noi abbiamo capacità di raggiungere Dio, ma Dio ha avuto l’infinita bontà di venirci incontro, anzi di giungere Lui, dagli insondabili spazi del suo regno, che è mistero, fino a noi.

Lui è venuto incontro a noi fino a farsi uno di noi, fino a farsi uomo; e così «è comparso sulla terra, e si è messo a conversazione con gli uomini» (Bar. 3, 38). Questo è il Vangelo, questo è il Natale.

Il Natale! il punto di contatto vitale del Verbo di Dio, Dio lui stesso col Padre e con lo Spirito Santo, con noi, gente di questo piccolo pianeta, ch’è la terra; Emmanuele è il suo nome, che appunto vuol dire: Dio con noi (Matth. 1, 23; Is. 7, 14).
Ma allora, sembra di dover dire, non altro occorre; non dobbiamo noi andare da Lui, se Lui è venuto da noi. La soluzione ultima dei nostri problemi non sarebbe già raggiunta? la salvezza già assicurata?

Ascoltate un’ultima volta il nostro invito, Fratelli e Uomini di buona volontà, invito che ancora ripetiamo per i passi che ci restano da compiere, affinché l’incontro si realizzi e si consumi nell’abbraccio, anzi nella comunione col Cristo, il Dio-uomo, nostro salvatore, nostro rigeneratore nell’ordine di vita soprannaturale, che ci è destinata.

Venite! Sono due i passi nostri, insignificanti rispetto alle distanze che Gesù, il Messia divino, ha colmato per avvicinarsi a noi, ma per noi estremamente importanti, e non privi di nostre drammatiche difficoltà.

Il primo passo, il grande passo, che umilia il nostro abusivo orgoglio di presunta autosufficienza, ma amplifica il nostro spirito alle proporzioni immense ed esaltanti della Parola rivelatrice di Dio, è la fede. Su le soglie del presepio, del Vangelo, della salvezza sta la fede. Occorre da parte nostra la fede; dobbiamo credere al regno di Dio, che ci è aperto davanti, e dire con l’anonimo personaggio evangelico : «Credo, o Signore; ma Tu aiuta la mia incredulità» (Marc. 9, 24).

Poi il secondo passo, che la celebrazione del Giubileo, con la sua semplice ma profonda disciplina spirituale, e con l’apertura simbolica delle sue porte di misericordia e di perdono, vuole significare, il passo della metamorfosi interiore, il passo coraggioso della verità morale, il passo evangelico del figlio prodigo, che ritorna alla casa paterna, il passo che il Padre attende e interiormente ispira e rende gioioso; ecco, è il passo della conversione del cuore: «Io sorgerò e andrò».

Ciascuno di noi lo può fare questo passo; lo deve. È in fondo, così facile. È così felice. È così dolce. È il passo che noi stiamo facendo. Il passo di Natale per l’Anno Santo, che abbiamo insieme questa notte inaugurato.

La Chiesa è con noi! così lo sia il mondo! Con questi voti nel cuore riprendiamo ora la nostra preghiera.

 

SOLENNE RITO DI CHIUSURA DELL'ANNO SANTO

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Natale del Signore, 25 dicembre 1975

 

Figli della Chiesa!

Fratelli nel mondo!

Ascoltate ora la parola conclusiva dell'Anno Santo. Noi lo abbiamo iniziato, invocando la misericordia di Dio sopra di noi, sopra la Chiesa, sopra il mondo. Noi abbiamo dato a quel rito dell'apertura della Porta Santa un duplice significato simbolico, ma tremendamente reale, quello della necessità d'ottenere un perdono, senza del quale una barriera di disperazione ostacolerebbe il nostro ingresso nel tempio di Dio. Noi abbiamo infatti riconosciuto la nostra angosciosa ed esistenziale necessità di ricomporre il nostro rapporto normale e felice col Dio vivente; noi abbiamo spiritualmente sperimentato così la nostra incapacità assoluta a riallacciare da soli in amicizia vitale tale indispensabile rapporto; noi abbiamo rasentato con la vertigine della paura l'abisso d'una fatale rovina; noi abbiamo osato, noi uomini di questo splendido e babelico secolo, trepidanti e coraggiosi, battere ancora alla porta, da noi stessi deserta, della casa paterna, cioè della reviviscenza all'economia del Vangelo, quella della riconciliazione con l'armonia primaria, con Te, o Dio della giustizia e della bontà.

Noi lo ricorderemo per sempre: un atto, un patto di religione ha cercato di ricollegare, con esito positivo, questa nostra vita, così detta moderna, la nostra vita attuale, storica, civile, qualunque sia, negatrice, scettica, aberrante, indifferente, ovvero ancora pia e fedele, con Te, Dio, prima, vera, unica, ineffabile sorgente della Vita, che non si spegne, e che dovunque risplende. Tu sei, o Dio, per ogni verso, Necessario. Tu sei oggi nostro, o Dio, insostituibile, Dio mistero di pace e di beatitudine. Noi lo confessiamo: noi abbiamo curvato le nostre fronti folli d'orgoglio, di sufficienza, e d'insipienza, ed abbiamo rigenerato nella umiltà sincera e sapiente la nostra coscienza davanti alle esigenze del messaggio del Regno di Dio. La metánoia cristiana, che al bivio dell'indirizzo direttivo dell'esistenza, guida i passi dell'uomo nel senso esatto della salvezza, ha determinato la nostra scelta, che il battesimo, per chi fra noi è cristiano, aveva già deliberata; ora è confermata; e lo sarà per sempre. Siamo convertiti cristiani.

Ed è questo il secondo significato che per noi ha assunto l'Anno Santo: la Fede è la Vita. È la Vita, perché raggiunge Te, o Dio, sia pure sulla riva-limite della nostra capacità di conoscere e di amare; Te, oceano dell'Essere, pienezza superante e incombente d'ogni Esistenza, cielo dell'insondabile profondità, non solo della terra e del cosmo, ma pari solo a Te stesso, infinito oltre lo spazio, Padre di tutto quanto esiste. La Vita sei Tu, Dio, sospeso come una lampada beatificante sulla penombra della nostra balbettante esperienza, a contatto con il mondo, con la storia, con la nostra stessa misteriosa solitudine interiore, tanto più bisognosa di codesta luce sovrana, quanto più vasto e incognito è il panorama che la scienza e la civiltà aprono al nostro avido e sempre miope sguardo. Ed anche questo rimarrà. Noi trarremo dalla Fede - di cui Cristo, Parola del Padre, è sorgente - la luce supplementare di cui il sapere umano ha bisogno per procedere libero e fidente, nel suo progrediente cammino, lieto di poter alternare lo studio razionale e sperimentale, guidato da suoi autonomi principii, con la preghiera, sì, questo gemito, questo canto dell'anima che li conferma quei principii, li integra e li sublima.

L'uomo nuovo di questo Anno Santo non dimenticherà dunque la preghiera, e a questo linguaggio innocente dei figli di Dio, ricondurrà la infantile memoria; la Chiesa gli sarà coro e maestra. E dove andremo noi ora nell'ebbrezza di ricuperata e sempre incipiente beatitudine, di questa pace, ch'è tutta energia ed impulso all'effusione più prodiga e più fraterna? Comprenderemo noi, o Cristo, fatto pastore davanti ai nostri passi frettolosi di toccare fin d'ora, nel periodo così breve e fugace, riservato al nostro esperimento di tuoi autentici seguaci, una meta degna e concreta, comprenderemo noi il «segno dei tempi», ch'è l'amore a quel prossimo, nella cui definizione Tu hai racchiuso ogni uomo, sì, ogni uomo bisognoso di comprensione, di aiuto, di conforto, di sacrificio, anche se a noi personalmente ignoto, anche se fastidioso ed ostile, ma insignito dall'incomparabile dignità di fratello? La sapienza dell'amore fraterno, la quale ha caratterizzato in virtù ed in opere, che cristiane sono giustamente qualificate, il cammino storico della santa Chiesa, esploderà con novella fecondità, con vittoriosa felicità, con rigenerante socialità.

Non l'odio, non la contesa, non l'avarizia sarà la sua dialettica, ma l'amore, l'amore generatore d'amore, l'amore dell'uomo per l'uomo, non per alcun provvisorio ed equivoco interesse, o per alcuna amara e mal tollerata condiscendenza, ma per l'amore a Te; a Te, o Cristo scoperto nella sofferenza e nel bisogno di ogni nostro simile. La civiltà dell'amore prevarrà nell'affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell'umanità finalmente cristiana. Così, così si conclude, o Signore, questo Anno Santo; così o uomini fratelli riprenda coraggioso e gioioso il nostro cammino nel tempo verso l'incontro finale, che fin d'ora mette sulle nostre labbra l'estrema invocazione: Vieni, o Signore Gesù (Apoc. 22, 20).

Buon Natale a tutti!

En tette sainte nuit, Nous souhaitons à tous un bon Noël dans la joie et la paix du Christ!

As we proclaim to the World the Birth of Jesus Christ the Son of God, we wish for all of you peace and joy of a blessed Christmas.

Con la alegría y la paz propias de la Nochebuena, deseamos a todos una santa y feliz Navidad.

In dieser heiligen Christmette wünschen Wir allenfrohe Weihnachten, gnadenreiche Weihnachten.

Que a graça e a paz do Ano Santo confortem a todos na caminhada da fé e na convivêcia do amor em Cristo: feliz Natal!

 

SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 25 dicembre 1976

 

Fratelli e Figli, accorsi a questa convocazione notturna!

Voi sapete perché!

È la ricorrente memoria d’un fatto estremamente umile e immerso in un povero paese lontano (ma era un paese predestinato), e inseriti in una ignota vicenda del tempo (ma era anch’esso un tempo profeticamente calcolato); d’un fatto si direbbe insignificante quale la nascita d’un Bambino in condizioni poverissime, prive d’ogni importanza esteriore e d’ogni interesse ambientale (ma era l’arrivo nel mondo, nel genere umano, del Verbo di Dio, del Figlio consustanziale del Padre Creatore e Signore dell’universo, che rimanendo qual era, si faceva Figlio di Maria; Figlio così di Dio e Figlio dell’uomo).

È questo fatto ambivalente umile e immenso, umano e divino, che nell’unica Persona del Verbo unisce due nature, di cui una, l’umana, sì, rispecchia costituzionalmente (Cfr. Gen. 1, 26-27) una meravigliosa, ma certo sempre remota immagine dell’altra, la divina, l’eterna, l’infinita; immagine ineffabile dell’invisibile Iddio (Cfr. Col. 1, 15; 2 Cor. 4, 4) e pone nell’abissale mistero della divinità questa simbiosi ch’è Cristo Gesù; «natus est Christus; . . . de Padre, Deus; de Matre, homo» (S. AUGUSTINI Sermo 184: PL38, 997). Essa lo pone nell’umanità e nella storia, centro in cui si ricollegano tutte le cose celesti e terrestri (Cfr. Eph. 1, 10), ed a cui ogni singolo essere umano può avere accesso e salvezza (Cfr. Luc. 3, 6); è questo il fatto, il mistero che noi ora ricordiamo e celebriamo.

«Lux in tenebris lucet», la luce splende nelle tenebre (Io. 1, 5).

Non ci fermeremo a considerare questo aspetto del mistero del Natale, cioè il modo scelto da Dio per rivelarsi nel suo Messia; quasi volesse nascondersi nell’atto stesso in cui si manifestava personalmente e umanamente agli uomini, che pur lo attendevano. È un aspetto che lascia intravvedere molte altre divine intenzioni, degne d’essere in altro momento esplorate e meditate. Voleva il Signore che noi, anche davanti alla sua suprema rivelazione temporale, non fossimo esonerati dal dovere di ricercarlo? voleva Egli che la nostra ricerca ci obbligasse a curvarci sui sentieri dell’umiltà, per correggere l’ostacolo principale che ci impedisce un autentico incontro col Cristo rivelatore, non altrimenti possibile che nella mortificazione del nostro fallo capitale, l’orgoglio? o voleva che non per altro interesse egoista lo avessimo a cercare, ma per quello del puro amore?
Come si debba infatti cercare la divina rivelazione ce lo ricordano le memorabili parole di S. Agostino «amore petitur, amore quaeritur, amore pulsatur, amore revelatur . . .»: «con l’amore si domanda, con l’amore si cerca, con l’amore si bussa, con l’amore si rivela» (S. AUGUSTINI De moribus Ecclesiae Catholicae, 1, c. XVII: PL 32, 1321).

Ma ci fermeremo sul fatto stesso, sul mistero del Natale. Ancora ascoltiamo S. Agostino, che anticipa sui Concilii posteriori la formula conclusiva: «Homo verus Deus verus, Deus et homo totus Christus, Hoc est catholica fides» (IDEM Sermo 92, 3: PL 38, 573). Ci fermeremo con quell’adesione della nostra fede, che celebrando con la Messa di questa notte i santi misteri noi stiamo a Lui tributando. Sì, noi confermiamo con questo rito natalizio la nostra piena, ferma, cordiale adesione a Cristo Gesù. Noi crediamo in Lui! Egli solo è il Salvatore nostro e del mondo (Cfr. Act. 4, 12).

Lasciamo che questo atto religioso e cosciente confermi e rinnovi la nostra accettazione di quella fede in Gesù Cristo, che abbiamo ereditato dalle generazioni cristiane a noi precedenti, e che il magistero della Chiesa sigilla in formule limpide e indiscutibili, e insieme feconda di perenne vitalità di effusione spirituale, di operosità evangelica, di predicazione missionaria, di cattolicismo sociale. E lasciamo che la fede stessa della Madonna, la Madre di Gesù, Colei che fu predicata «beata . . . per aver creduto nell’adempimento di ciò che le era stato detto da parte del Signore» (Luc. 1, 45) «con fede non inquinata da alcun dubbio», come insegna il Concilio (Lumen Gentium, 62), penetri nelle nostre anime, e conforti la nostra schietta conversazione col mondo presente, vacillante d’insanabili dubbi. Lasciamo che la nostra certezza nel mistero cristiano ci abiliti al duplice atteggiamento reclamato da chi si professa cristiano, quello della logica di pensiero e di azione, coerente e sapiente, proprio di chi appunto cristiano si qualifica, e quello della leale capacità comprensiva comunicativa d’ogni giusto ed amichevole rapporto sociale.

E procuriamo infine d’onorare la grande festa del Natale con l’espressione nel cuore e nel culto dei sentimenti che scaturiscono dalla sua realtà religiosa; della nostra meraviglia dapprima, che per quanto essa cerchi di ammirare il prodigio dell’Incarnazione, del Verbo di Dio che si fa uomo, non troverà mai una sufficiente misura, per iperbolica ch’essa si faccia, per adeguare l’espressione dello stupore e della gioia alla realtà che la suscita. Ancora S. Agostino che esorta: «Svégliati, uomo; per te Dio si è fatto uomo!: «expergiscere, homo: pro te Deus factus est homo!» (S. AUGUSTINI Sermo 185: PL 38, 907). Sentimento questo che accompagnerà poi sempre, anche nelle ore amare della vita e nelle celebrazioni dolorose della liturgia ogni altro sentimento, come una inesauribile riserva di ottimismo contemplativo ed attivo proprio di chi è stato ammesso a pregustare la trascendente fortuna del mistero cristiano (Cfr. Eph. 5, 14). Riascoltiamo S. Paolo per fare delle sue parole stile della nostra vita cristiana, augurio e ricordo della nostra celebrazione di questo Natale: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi!» (Phil. 4, 4; 2, 18; 3, 1). L’Angelo del presepio ha intonato dal cielo il messaggio della nuova letizia, anche per noi: «Non temete! Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2, 10-11).

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 24 dicembre 1977

 

Fratelli e Figli carissimi!

Voi attendete da noi una parola, che già risuona negli animi vostri; ed il fatto di ascoltarla ancora in questa notte ed in questa sede ne riconosca la sua perenne novità, la sua forza di verità, la sua meravigliosa e beatificante letizia. Non è nostra, è celeste. Le nostre labbra ripetono l’annunzio dell’Angelo, che rifulse nella notte, a Betlemme, 1977 anni fa, e che confortati gli umili e spaventati pastori, veglianti all’aperto sul loro gregge, vaticinò l’ineffabile fatto compiutosi allora in un presepio vicino:

«Io vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide (Betlemme) un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2 , 10-11).

Così è, così è, Fratelli e Figli! e così è, vogliamo estendere il nostro grido umile e impavido a quanti «hanno orecchi per ascoltare» (Matth. 11, 15). Un fatto e una gioia; ecco la duplice grande notizia!

Il fatto: esso sembra quasi insignificante. Un bambino che nasce e in quali umilianti condizioni ! Lo sanno i nostri ragazzi, quando compongono i loro presepi, ingenui ma autentici documenti della realtà evangelica. Ma la realtà evangelica è trasparente d’una concomitante realtà ineffabile: quel Bambino risulta vivente d’una trascendente Figliolanza divina, «Filius Altissimi vocabitur» (Luc. 1, 32). Facciamo nostre le espressioni entusiastiche del grande nostro Predecessore, San Leone Magno, il quale esclama: «Il nostro Salvatore, o carissimi, oggi è nato: godiamo! Non vi è luogo a tristezza, quando è il natale della vita, che, spento il timore della morte, ci infonde la letizia della promessa eternità» (S. LEONIS MAGNI Sermo I de Nativitate Domini).

Così che mentre il sommo mistero della vita trinitaria dell’unico Iddio ci si rivela nelle tre distinte Persone, Padre generante, Figlio generato, entrambi uniti nel vincolo dello Spirito Santo, un altro mistero integra d’inestinguibile meraviglia il nostro rapporto religioso con Dio aprendo il cielo alla visione della gloria dell’infinita trascendenza divina, e, superando in un dono d’incomparabile amore ogni distanza, la prossimità, la vicinanza di Cristo-Dio fatto uomo ci mostra ch’Egli è con noi, Egli è in cerca di noi: «È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tit. 2, 11; 3, 4).

Fratelli! Uomini tutti! Che cosa è il Natale se non questo avvenimento storico, cosmico, estremamente comunitario perché rivolto a proporzioni universali, ed insieme incomparabilmente intimo e personale per ciascuno di noi, poiché il Verbo eterno di Dio, in virtù del Quale noi già viviamo della nostra esistenza naturale (Cfr. Act. 17, 23-28), è appunto venuto in cerca di noi; Lui eterno si è inserito nel tempo, Lui infinito si è quasi annientato «assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, è apparso in forma umana, ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Phil. 2, 6 ss.). I nostri orecchi sono - ahimé! - abituati a simile messaggio, e i nostri cuori sordi a simile chiamata, una chiamata d’amore: «così Dio ha amato il mondo ...» (Io. 3, 16); anzi siamo precisi: ciascuno di noi può dire con San Paolo: «Egli ha amato me, e ha dato la sua vita per me...»! (Gal. 2, 20)

Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo fra noi. Ciascuno può dire: per me! Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pascal: Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!

Oh! che davvero questa celebrazione notturna del Natale di Cristo sia per noi tutti, sia per la Chiesa intera, sia per il mondo una rinnovata rivelazione del mistero ineffabile dell’Incarnazione, una sorgente d’inestinguibile felicità! Così sia!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 24 dicembre 1978

 

Carissimi Fratelli e Sorelle.

1. Ci troviamo nella Basilica di San Pietro a quest’ora insolita. Ci fa da sfondo l’architettura nella quale intere generazioni attraverso i secoli hanno espresso la loro fede nel Dio Incarnato, seguendo il messaggio portato qui a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. Tutto ciò che ci circonda parla con la voce dei due millenni che ci separano dalla nascita di Cristo. Il secondo millennio si sta avvicinando celermente alla fine. Permettete che, così come siamo, in questo contesto di tempo e di luogo, io vada con voi a quella grotta nei pressi della cittadina di Betlemme, situata a sud di Gerusalemme. Facciamo in modo di essere tutti insieme più là che qua: là, dove “nel silenzio della notte” si è fatto sentire il vagito del Neonato, espressione perenne dei figli della terra. In quello stesso tempo si è fatto sentire il cielo, “mondo” di Dio che abita nel tabernacolo inaccessibile della Gloria. Tra la maestà di Dio eterno e la terra-madre, che si annunzia col vagito del Bimbo neonato, s’intravede la prospettiva di una nuova pace, della riconciliazione, dell’alleanza: È nato per noi il Salvatore del mondo “tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio”. 

2. Tuttavia in questo momento, in questa insolita ora, i confini della terra rimangono distanti. Sono pervasi da un tempo di attesa, lontani dalla pace. La stanchezza riempie piuttosto i cuori degli uomini, che si sono addormentati, così come si erano addormentati non lungi i pastori nelle valli di Betlemme. Ciò che accade nella stalla, nella grotta di roccia ha una dimensione di profonda intimità: è qualcosa che avviene “fra” la Genitrice e il Nascituro. Nessuno dall’esterno vi ha accesso. Perfino Giuseppe, il falegname di Nazaret, rimane testimone silenzioso. Lei sola è pienamente consapevole della sua Maternità. E solo lei capta l’espressione propria del vagito del bimbo. La nascita di Cristo è innanzitutto il suo mistero, il suo grande Giorno. È la festa della Madre. 

È una strana festa: senza alcun segno della liturgia della Sinagoga, senza letture profetiche e senza canto di Salmi. “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato (Eb 10,5) sembra dire, col suo vagito, Colui che, essendo Figlio eterno, Verbo consostanziale al Padre, Dio da Dio, Luce da Luce”, si è fatto carne (Is 1,14), egli si rivela in quel corpo come uno di noi, piccolo infante, in tutta la sua fragilità e vulnerabilità. Soggetto alla sollecitudine degli uomini, affidato al loro amore, indifeso. Vagisce, e il mondo non lo sente, non può sentirlo. Il vagito del bimbo neonato può udirsi appena a distanza di qualche passo. 

3. Vi prego quindi, Fratelli e Sorelle, che affollate questa Basilica, cerchiamo di essere più presenti là che qua. Non molti giorni fa, manifestai il mio grande desiderio di trovarmi nella grotta della Natività, per celebrare proprio là l’inizio del mio pontificato. Dato che le circostanze non me lo consentono, e trovandomi qui con tutti voi, ancor più cerco di essere là spiritualmente con voi tutti, per colmare questa liturgia con la profondità, l’ardore, l’autenticità di un intenso sentimento interiore. La liturgia della notte di Natale è ricca di un particolare realismo: realismo di quel momento che noi rinnoviamo, e anche realismo dei cuori che rivivono quel momento. Tutti, infatti, siamo profondamente emozionati e commossi, benché ciò che celebriamo sia avvenuto circa duemila anni fa. 

Per avere un quadro completo della realtà di quell’evento, per penetrare ancor più nel realismo di quel momento e dei cuori umani, ricordiamoci che ciò è avvenuto così come è avvenuto: nell’abbandono, nell’estrema povertà, nella stalla-grotta, fuori della città, perché gli uomini, nella città, non hanno voluto accogliere la Madre e Giuseppe in nessuna delle loro case. Da nessuna parte c’era posto. Sin dall’inizio, il mondo si è rivelato inospitale verso il Dio che doveva nascere come Uomo. 

4. Riflettiamo ora brevemente sul significato perenne di questa mancata ospitalità dell’uomo nei riguardi di Dio. Noi tutti, che siamo qui, vogliamo che sia diversamente. Vogliamo che a Dio, che nasce come uomo, sia aperto tutto in noi uomini. 

Con questo desiderio siamo venuti qui! 

Pensiamo quindi questa notte anche a tutti gli uomini che cadono vittime dell’umana disumanità, della crudeltà, della mancanza di qualsiasi rispetto, del disprezzo dei diritti oggettivi di ciascun uomo. Pensiamo a coloro che sono soli, anziani, ammalati; a coloro che non hanno una casa, che soffrono la fame, la cui miseria è conseguenza dello sfruttamento e dell’ingiustizia dei sistemi economici. Pensiamo anche a coloro, ai quali non è permesso, in questa notte, di partecipare alla liturgia della Nascita di Dio, e che non hanno un sacerdote che possa celebrare la Messa. E andiamo col pensiero anche a coloro, le cui anime e coscienze sono tormentate non meno che la loro fede. 

La stalla di Betlemme è il primo luogo della solidarietà con l’uomo: di un uomo con l’altro e di tutti con tutti, soprattutto con coloro, per i quali “non c’è posto nell’albergo” (cf. Lc 2,7), ai quali non sono riconosciuti i propri diritti. 

5. Il Bambino neonato vagisce. 

Chi sente il vagito del bimbo? 

Per lui parla però il cielo, ed è il cielo che rivela l’insegnamento proprio di questa nascita. È il cielo che la spiega con queste parole: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). 

Bisogna che noi, toccati dal fatto della nascita di Gesù, sentiamo questo grido del cielo. 

Bisogna che esso giunga a tutti i confini della terra, che lo odano nuovamente tutti gli uomini. 

Filius datus est nobis. 

Christus natus est nobis. Amen”.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

24 dicembre 1979

 

1. Ecco, di nuovo è venuta l’ora di questo meraviglioso avvenimento: “Si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,6-7). Ci chiediamo: è un avvenimento comune o insolito? Quanti bambini nascono su tutta la terra nel corso di ventiquattro ore, mentre in alcune parti del mondo è giorno e in altre è notte! Certo, ognuno di questi momenti è qualcosa di insolito; è qualcosa di unico per un padre, e soprattutto per una madre, quando nasce un bambino, specialmente se si tratta del primo bambino, del figlio primogenito.

Quel momento è sempre una cosa grande. E tuttavia dato che esso si compie continuamente in qualche posto del mondo, in ogni ora del giorno e della notte la nascita dell’uomo, nel suo aspetto statistico, è insieme qualcosa di comune e normale.

Anche la nascita di Cristo sembra entrare in questa dimensione statistica, tanto più che ad essa si accompagna, secondo il racconto di San Luca, la menzione di un censimento, che si svolse nelle terre governate dall’imperatore romano Cesare Augusto; l’evangelista precisa che nel paese abitato da Maria e da Giuseppe l’ordine del censimento venne dal governatore della Siria, Quirinio.

A quell’avvenimento facciamo riferimento ogni anno, come oggi, riunendoci in questa Basilica a mezzanotte. Ebbene, se in questo avvenimento c’è qualcosa di insolito, ciò consiste forse nel fatto che esso non si compie nelle consuete condizioni umane, sotto il tetto di una casa, bensì in una stalla, che ordinariamente ospita solo animali. La prima culla del Divin Neonato, infatti, è una mangiatoia.

Stanotte, ci siamo riuniti in questa splendida Basilica rinascimentale per fare compagnia al Bambino di una Donna povera, nato in una stalla e deposto in una mangiatoia!

2. Certamente nessuno degli abitanti né dei nuovi arrivati, presenti allora a Betlemme, poteva pensare che in quel momento e in quella stalla si stavano realizzando le parole del grande profeta, spesso rilette e continuamente meditate dai figli di Israele.

Isaia, infatti, aveva scritto parole che costituirono il contenuto di una grande Attesa e di una inflessibile Speranza: “Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia. / Gioiscano davanti a te / come si gioisce quando si miete... / Poiché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il segno della sovranità... / grande sarà il suo dominio / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, / ora e sempre” (Is 9,2.5-6).

Nessuno dei presenti a Betlemme poteva pensare che proprio in quella notte le parole del grande profeta venissero realizzate, né che ciò si compisse in una stalla, dove di solito abitano gli animali, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7).

3. Tuttavia c’è qualche elemento, qualche cenno nelle parole di Isaia, che già in questa notte sembrano realizzarsi alla lettera. Isaia aveva scritto: “Il popolo che cammina nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa, / una luce rifulse” (Is 9,1).

Orbene, tutta Betlemme e tutta la Palestina in quel momento è “terra tenebrosa” e i suoi abitanti giacciono nel sonno. Ma fuori della città – come leggiamo nel Vangelo di Luca – “c’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8). I pastori sono figli di quel “popolo che cammina nelle tenebre” e insieme sono i suoi rappresentanti eletti per quel momento, eletti “per vedere la grande luce”. Proprio così, infatti, scrive San Luca dei pastori di Betlemme: “Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore, li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento” (Lc 2,9). E dal profondo di quella luce che viene loro da Dio e nella profondità di quello spavento che è la risposta dei cuori semplici alla luce divina, giunge la voce: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11).

Queste parole dovettero produrre una grande letizia nei cuori di quegli uomini semplici, educati e nutriti come tutto il Popolo di Israele da una grande Promessa, nella tradizione dell’attesa del Messia. E giustamente dice il Messaggero che questa gioia “sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10), cioè proprio di quel Popolo di Dio, che “camminava nelle tenebre”, ma non si stancava della Promessa.

4. Era necessario, proprio in quella notte, un Messaggero che portasse la “grande luce” della profezia di Isaia alla stalla e alla mangiatoia di Betlemme. Era necessaria questa luce, era necessaria “la manifestazione della gloria” (Tt 2,13) – come scrive San Paolo – perché si potesse leggere bene il Segno! “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). E i pastori di Betlemme, uomini semplici che non sapevano di lettere, hanno davvero letto bene il Segno. Furono i primi tra tutti coloro che lo hanno letto in seguito e che lo rileggono tuttora. Furono i primi testimoni del Mistero. Noi, che in questa notte riempiamo la Basilica di San Pietro e tutti coloro, che in ogni luogo sono presenti alla Messa di Mezzanotte, diventiamo partecipi della loro testimonianza. Non invano questa Messa di Mezzanotte viene chiamata in alcune regioni “Messa dei pastori”.

5. Ricordiamo che è la notte del Mistero, anche se si potrebbe valutare diversamente l’avvenimento, in cui è apparsa la “manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore” (Tt 2,13) con la nascita del Bambino, quando egli venne al mondo dalla Vergine, e quando nella notte della sua nascita non ebbe a disposizione un tetto domestico sopra il capo, ma solo una stalla e una mangiatoia!

Ora, poiché ci siamo riuniti qui come partecipi della prima testimonianza data dai pastori di Betlemme a quel Mistero, cerchiamo di riflettere a fondo su di essa.

“Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Queste parole provengono dalla stessa luce, che rifulse in quella notte nel cuore di uomini di buona volontà. Dio si compiace negli uomini!

Questa notte rappresenta una testimonianza particolare del divino compiacimento nell’uomo. Non lo ha forse creato Dio a sua immagine e somiglianza? Le immagini e le somiglianze si creano per vedervi il riflesso di se stessi. Perciò si guardano con compiacimento. Dio non si è forse compiaciuto dell’uomo, se, dopo averlo creato, “vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31)? Ed ecco che a Betlemme siamo alla sommità di quel compiacimento. Ciò che è successo allora è forse possibile esprimerlo diversamente!

È possibile comprendere diversamente il Mistero, per cui il Verbo si fa carne, il Figlio di Dio assume la natura umana e nasce come Fanciullo dal grembo della Vergine? È possibile rileggere in altro modo questo Segno?

6. E per questo che alla mezzanotte di Natale diversi popoli iniziano un grande canto. Esso si diffonde ogni anno dalla stessa stalla di Betlemme. Risuona sulle labbra degli uomini di tante terre e di tante razze. Risuona il grande canto della gioia, e assume svariate forme. Cantano in Italia, cantano in Polonia, cantano in tutte le lingue e nei vari dialetti, in tutti i paesi e i continenti.

Dio ha manifestato il proprio compiacimento nell’uomo! Dio si compiace dell’uomo. Gli uomini, allora, si svegliano; si desta l’uomo, “pastore del suo destino” (Heidegger).

Quanto spesso l’uomo è schiacciato da questo destino! Quanto spesso ne è prigioniero; quanto spesso muore di fame, quanto spesso è vicino alla disperazione, quanto spesso è minacciato nella coscienza del significato della propria umanità. Quanto spesso – nonostante tutte le apparenze – l’uomo è lontano dal compiacersi di se stesso.

Ma oggi egli si desta e sente l’annuncio: Dio nasce nella storia umana! Dio si compiace nell’uomo. Dio è diventato uomo. Dio si compiace in te! Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro, 24 dicembre 1980

 

1. Cari fratelli e sorelle, riuniti nella Basilica di san Pietro a Roma - e voi tutti che mi ascoltate, in questo momento, in qualsiasi punto del globo terrestre - ecco, sto davanti a voi, io, servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio (cf. 1Cor 4,1), come messaggero della notte di Betlemme: la notte di Betlemme 1980.

La notte della nascita di Gesù Cristo, Figlio di Dio nato da Maria Vergine, della casa di Davide, della stirpe di Abramo, padre della nostra fede, della generazione dei figli di Adamo.

Il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, viene nel mondo come uomo.

2. È una notte profonda: “Il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse”; parole del profeta Isaia (Is 9,2).

In che modo si compiono queste parole nella notte di Betlemme? Ecco, le tenebre avvolgono la regione di Giuda ed i paesi vicini. Soltanto in un luogo appare la luce. Essa giunge soltanto ad un piccolo gruppo di uomini semplici.

Questi sono i pastori, che erano in quella regione e “vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8).

Soltanto su di essi si compie, quella notte, la profezia di Isaia. Vedono una grande luce: “La gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento” (Lc 2,9).

Questa luce abbaglia i loro occhi, e contemporaneamente illumina i cuori. Ecco, essi già sanno: “Oggi... è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11).

Sono i primi a sapere.

Oggi invece lo sanno milioni di uomini in tutto il mondo. La luce della notte di Betlemme ha raggiunto molti cuori, e tuttavia nello stesso tempo, permane il buio. A volte esso sembra, addirittura, intensificarsi...

Per che cosa posso pregare in questa notte di Betlemme 1980, io servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio - per che cosa posso pregare maggiormente, insieme con voi tutti, che partecipate alla luce di questa notte se non perché questa luce giunga dappertutto, perché trovi accesso a tutti i cuori, perché ritorni là, dove sembra che sia stata spenta...? perché essa “svegli”!

Così come ha svegliato i pastori nei campi nei pressi di Betlemme.

3. “Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia”; parole di Isaia profeta.

Coloro che in quella notte lo accolsero trovarono una grande gioia. La gioia che scaturisce dalla luce. Il buio del mondo cancellato dalla luce della nascita di Dio!

Non importa che questa luce sia, per il momento, partecipata soltanto da alcuni cuori: che partecipi ad essa la Vergine di Nazaret ed il suo Sposo, la Vergine alla quale non è stato dato di mettere al mondo il suo Figlio sotto il tetto di una casa a Betlemme, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). E partecipano a questa gioia i pastori, illuminati da una grande luce nei campi vicino alla città.

Non importa che in quella prima notte, la notte della nascita di Dio, la gioia di tale evento sia giunta soltanto a questi pochi cuori.

Non importa.

Essa è destinata a tutti i cuori umani. È la gioia del genere umano, gioia sovrumana! Vi può essere forse una gioia più grande di questa, vi può essere una novella migliore di questa che l’uomo è stato accettato da Dio per diventare figlio in questo Figlio di Dio, diventato uomo.

Ed è, questa, la gioia cosmica. Essa riempie tutto il mondo creato: creato da Dio - allontanatosi da Dio a causa del peccato - ed ecco: restituito di nuovo a Dio mediante la nascita di Dio nel corpo umano.

È la gioia cosmica.

Essa riempie tutto il creato, che questa notte di nuovo è chiamato a condividerla da queste parole che scendono dal cielo:
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama” (agli uomini di buona volontà) (Lc 2,14).

Questa notte voglio essere particolarmente vicino a voi: a voi tutti che soffrite
e a voi, colpiti dal terremoto,
e a voi, che vivete nella paura delle guerre o delle violenze,
e a voi, che siete privi della gioia di questa santa messa a mezzanotte del Natale del Signore,
e a voi, inchiodati al letto del dolore,
e a voi, che siete caduti nella disperazione, nel dubbio circa il senso della vita e circa il senso di tutto.

Vicino a voi tutti.

A Voi in modo particolare è destinata questa gioia, che riempie i cuori dei pastori di Betlemme: essa è soprattutto per voi. Perché essa è la gioia degli uomini di buona volontà, di coloro che hanno fame e sete della giustizia, di coloro che piangono, di coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia.

Si compiano su di voi le parole del profeta:
“Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia...” (Is 9,2).

4. “Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete”; parole di Isaia.

Ecco: gli uomini semplici, che vivono del lavoro delle loro mani, non si presentano davanti al neonato con le mani vuote. Non si sono presentati con i cuori vuoti.

Portano i doni.

Rispondono con il dono al Dono.

Cari fratelli e sorelle, voi riuniti nella Basilica di san Pietro e voi tutti che mi ascoltate in questo momento e in qualsiasi punto del globo terrestre: in questa notte l’umanità intera ha ricevuto il Dono più grande! In questa notte ogni uomo riceve il “dono” più grande! Dio stesso diventa il Dono per l’uomo. Egli fa di se stesso “il Dono” per la natura umana. Entra nella storia dell’uomo non già soltanto mediante la parola che da lui giunge all’uomo, ma mediante il Verbo che è diventato carne!

Domando a voi tutti: avete la coscienza di questo Dono?

Siete pronti a rispondere con il dono al Dono? Così come quei pastori di Betlemme, che hanno risposto...

E vi auguro dal profondo di questa nuova notte di Betlemme 1980 che accettiate il Dono di Dio, che è diventato uomo.

Vi auguro che rispondiate con il dono al Dono!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro, 24 dicembre 1981

 

“Poiché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il segno della sovranità” (Is 9,5).

1. Nasce un Bambino. Ci siamo riuniti in questa veneranda Basilica – così come tanti nostri fratelli e sorelle nella fede si riuniscono oggi, a mezzanotte, nel mondo intero – perché: nasce un Bambino. Viene al mondo dal seno della Madre, così come tanti bambini umani dall’inizio e continuamente...

Nasce...

Nel corso del censimento ordinato in tutto lo Stato romano da Cesare Augusto, quando Giuseppe di Galilea dalla città di Nazaret, doveva recarsi a Betlemme, dato che era della stirpe di Davide, e Betlemme era proprio la città di Davide.

Là si compirono per Maria i giorni del parto. Nasce quindi un Bambino, il Figlio primogenito di Maria di Nazaret.

La Madre lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

Benché unico e irrepetibile per la sua divinità, e per la sua verginale concezione e nascita, il Bambino è nato così come nascono i bambini dei poveri. Questo non aveva predetto Isaia, anche se aveva preannunciato questa nascita in mezzo alla notte profonda, quando aveva scritto:
“II popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse” (Is 9,1).

2. Ecco noi tutti riuniti così come tutti i nostri fratelli e sorelle nel mondo intero, andiamo incontro a questa luce:
Ci è stato dato un Figlio: / Figlio della luce: / Dio da Dio, Luce da Luce. / Un figlio ci è dato: “Dio – Padre Eterno – infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...” (Gv 3,16).

Ecco il momento in cui si rivela al mondo il Dono del Padre: un Figlio. Dalla profondità di questa notte di Avvento, che descrive Isaia, Egli è da tanto tempo aspettato... E nello stesso tempo del tutto inaspettato, dato che circondano la sua nascita la notte silenziosa e il vuoto della grotta-stalla per il bestiame, nelle vicinanze di Betlemme, e soltanto due persone, Maria e Giuseppe, in questo vuoto e in questa solitudine.

Questo vuoto e solitudine sono penetranti. Sono grandi per la nascita di Dio: un figlio ci è dato. In lui abbiamo ricevuto tutto. L’Eterno Padre non ci poteva dare di più.

3. Scrive l’apostolo Paolo: “È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11).

Che cosa è la Grazia? È proprio l’amore che dona. Nel vuoto e nella solitudine di questa notte di Betlemme, l’amore “che dona” del Padre viene al mondo nel Figlio, nato dalla Vergine: un Figlio ci è dato.

Già col primo momento della sua venuta: “ci insegna – come scrive l’apostolo – a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria...” (Tt 2,12-13).

Questo ci insegna il Bambino che è nato – il Figlio che ci è dato. Tuttavia in questo momento nessuno sembra sentire la sua voce. Nessuno sembra neppure notare la sua nascita. Nessuno – fuorché Maria e Giuseppe. Nessuno? E tuttavia vi sono già alcuni che per primi hanno notato. Per primi hanno accolto la buona novella. E sono venuti per primi.

I pastori. L’angelo aveva detto loro: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Si recarono nella direzione indicata. Primi tra gli abitanti di questa terra, si unirono “all’esercito celeste”, proclamando la discesa del Figlio Eterno e l’inizio del Regno di Dio nei cuori degli uomini.

4. Quale potere e sulle spalle di questo bambino che nasce nella solitudine e nel vuoto della notte di Betlemme? Dice infatti il profeta: “Sulle sue spalle è il segno / della sovranità” (Is 9,5). E dice poi: “Grande sarà il suo dominio / e la pace non avrà fine... / ora e sempre...” (Is 9,6).

Nulla sembra confermare questa sovranità e questo dominio, nel vuoto e nella solitudine della notte di Betlemme. Piuttosto tutto parla di povertà, di “diseredazione”...

Questa prima notte terrena del Figlio dell’uomo contiene già in sé quasi un lontano presagio della notte ultima, quando “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte...” (Fil 2,8). Questa prima notte senza tetto del Figlio che ci è dato, è libera da ogni segno di umana potenza e forza. È tutto il contrario...

5. E tuttavia questa notte di Betlemme, che ricordiamo ogni anno con la più grande emozione, suscita speranza e porta la gioia: una gioia quale il mondo non può dare pur con tutti i suoi ben noti mezzi di terrena potenza e forza.

Di questa gioia è piena la liturgia della Chiesa, che “canta al Signore un canto nuovo” (Sal 96,1), e invita a questo canto “tutta la terra”.

“Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude; / esultino i campi e quanto contengono / si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96,11-12).

Il Regno di Dio sulla terra inizia durante questa notte della vigilia, non tra i segni della terrena potenza e forza, ma tra la gioia delle anime e dei cuori, che riempie tutti coloro che lo hanno accolto.

Così, otto secoli fa, essa ha riempito l’anima e il cuore di san Francesco, il Poverello di Assisi.

6. O voi tutti che mi ascoltate qui – in questa Basilica – in qualsiasi luogo del globo terrestre!

Quanto vi auguro la rivelazione di questa Grazia!

Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro, 24 dicembre 1982

 

“Un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il segno della sovranità” (Is 9,5).

1. La nascita di Gesù Cristo nella notte di Betlemme è, nell’odierna liturgia, innanzitutto presentata in forma descrittiva.

L’avvenimento è narrato dall’evangelista Luca. L’abbiamo ascoltato poco fa.

La descrizione è piuttosto particolareggiata. Per primo, essa risponde alla domanda sulle circostanze storiche, in cui l’avvenimento ebbe luogo. Veniamo quindi a sapere che, in seguito al decreto di Cesare Augusto, fu ordinato il censimento “quando era governatore della Siria Quirinio” (cf. Lc 2,1s). Su tale sfondo si passa alla descrizione dell’avvenimento stesso. Ecco, infatti – per adempiere il dovere derivante dalla disposizione dell’autorità – Giuseppe “dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa”. Giuseppe fa così, perché “era della casa e della famiglia di Davide”. La casa e la famiglia, come è noto, erano collegate con la città di Betlemme. Evidentemente l’obbligo del censimento doveva essere adempiuto nel luogo di provenienza della famiglia.

Maria era in quel periodo incinta. Aspettava il Bambino.

2. Tutto ciò è raccontato nella descrizione dell’evangelista Luca in modo dettagliato. Anche la descrizione della nascita stessa del Bambino è assai particolareggiata e, al tempo stesso, permeata da una totale semplicità.

Veniamo a sapere che l’avvenimento ebbe luogo dopo il loro arrivo a Betlemme, quando già si “trovavano in quel luogo” (Lc 2,6). Sappiamo anche che si compì in condizioni insolite, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). La venuta al mondo del Figlio di Maria ebbe quindi luogo non in un casa, che è l’abitazione degli uomini, ma in un ambiente destinato agli animali, come risulta dal fatto che Maria avvolse il suo figlio primogenito in fasce “e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7).

Dal quadro della descrizione veniamo a sapere ancora che, dopo un certo tempo, nel luogo in cui il Figlio di Maria venne al mondo, sono arrivati i pastori, che “erano in quella regione” e “vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8). Essi vi furono condotti da un particolare segno del cielo.

3. Ciò che è successo nella notte di Betlemme non può infatti essere contenuto nella cornice di una descrizione di cronaca. Benché questa descrizione sia delineata nelle letture dell’odierna liturgia in modo assai dettagliato, essa tuttavia non dice ancora tutto.

Per conoscere tutto bisogna penetrare nello svolgimento degli avvenimenti alla luce delle parole del profeta Isaia, che abbiamo riportato all’inizio.

“Poiché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il segno della sovranità” (Is 9,5).

“Quale potere” è sulle spalle di questo Bambino, che nell’ora della sua venuta al mondo non aveva neppure un semplice, umano tetto sopra il suo capo? che, come prima culla, ebbe una mangiatoia di animali?

Nella notte di Betlemme noi ci interroghiamo su questo “potere”, che porta con sé nel mondo il Neo-nato.

Le parole di Isaia parlano forse dell’avvenire di questo Bambino nato nella notte di Betlemme, vedendo in lui un sovrano terreno del popolo?

Eppure noi sappiamo – si tratta degli ulteriori avvenimenti, pure ben conosciuti da noi – che la vita di Gesù di Nazaret, nato nella notte di Betlemme, finirà con la morte sulla croce.

Quale potere si posa dunque sulle sue spalle nella notte della sua nascita? E quale sarà anche nelle ore del Golgota?

4. La risposta a queste domande è racchiusa nell’insieme del testo liturgico. Essa entra nel cuore stesso degli avvenimenti della notte di Betlemme, ma supera la loro dimensione puramente umana.

Ecco, sentiamo che con quell’angelo che annunziò ai pastori la nascita del Salvatore “apparve... una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama"” (Lc 2,13s).

Questa verità, che la notte di Betlemme integralmente racchiude in sé, non potevano pronunciarla labbra unicamente umane.

Essa non poteva essere “pronunciata”, ma soltanto “annunciata” – così come la verità sulla concezione del Dio – Figlio nel seno della Vergine di Nazaret.

Ed ecco, in quella annunciazione di Betlemme troviamo una risposta alla nostra domanda.

Quale potere si è posato sulle spalle di Cristo in quella notte? Un potere unico. Il potere, che soltanto lui possiede. Infatti soltanto lui ha il potere di penetrare l’anima di ogni uomo con la pace del Divino Compiacimento.

Soltanto lui ha il potere di far sì che gli uomini diventino figli di Dio.

Soltanto lui è in grado di elevare la storia dell’uomo all’altezza della gloria di Dio.

“Soltanto lui”.

Salutiamolo con gratitudine e con gioia, in questa notte radiosa.

“Venite, adoremus!”.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Santo Natale, 24 dicembre 1983

 

1. Custos, quid de nocte? (cf. Is 21, 11)

Ecco, annunzio la Mezzanotte! Questa Mezzanotte si sposta da Oriente a Occidente. Segue ogni meridiano. In Oriente già ci ha preceduti, in Occidente sta per venire . . . Ecco, annunzio la Mezzanotte; in ogni luogo e in ogni momento in cui essa percorre il globo terrestre, annunzio la Mezzanotte!

Io, custode del Grande Mistero. Io, Vescovo di Roma: annunzio dappertutto la Mezzanotte di Natale. “Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore da tutta la terra” (Sal 96, 1).

2. Canta, o terra!

Canta perché sei stata prescelta, prescelta tra tutto l’universo. E tutto l’universo è stato prescelto insieme con te.

Canta, o terra!

“Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude; / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96, 11-12).

Canta, o terra, perché sei stata prescelta per essere il luogo della nascita di Dio in un corpo umano. Si riunisca tutta la terra attorno a quell’unica Mezzanotte! Parli la potenza di tutto il creato! Parli con l’esistenza di tutti i mondi creati! Parli con la lingua dell’uomo!

3. Ecco, parla l’uomo. Il suo nome è Luca, evangelista. Dice: “. . . si compirono per lei (Maria) i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo (Lc 2, 6-7).

In questo modo è venuto al mondo il figlio di Dio. Maria era la sposa di Giuseppe, della famiglia di Davide; di Giuseppe che era carpentiere a Nazaret. Il Bambino è venuto al mondo a Betlemme perché lì ambedue, Maria e Giuseppe, si erano recati a motivo del censimento che Cesare Augusto aveva ordinato.

4. Questo ha detto l’uomo. Contemporaneamente all’uomo parla l’Angelo del Signore. Parla ai Pastori quando, nel mezzo della notte profonda di Betlemme, “la gloria del Signore li avvolse di luce”. E i pastori “furono presi da grande spavento” (Lc 2, 9). Dice loro: “Non temete! Ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 10-12).

L’uomo e l’Angelo parlano dello stesso fatto e indicano lo stesso luogo. L’Angelo parla di ciò che l’uomo non osa dire: a Betlemme è venuto al mondo il Messia, cioè l’Unto, colui che viene a visitare l’umanità nella potenza dello Spirito Santo. A Betlemme è nato sulla terra il Salvatore del mondo. Lui . . . giudicherà la terra. Lui . . . giudicherà il mondo secondo giustizia.

Sì, egli darà “se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga . . .” (Tt 2, 14). Egli darà se stesso per noi: ecco il suo Giudizio!

5. “Custos, quid de nocte?” (cf. Is 21, 11).

Ecco, annunzio la Mezzanotte . . . Dal profondo della notte di Betlemme, che è la notte dell’intera umanità vivente sulla terra . . . “È apparsa infatti la grazia di Dio, / apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2, 11).

Che cos’è la grazia? La grazia e il divino compiacimento. Essa si concentra completamente in questo Bambino che giace nel presepe. Questo Bambino è il Figlio Eterno, Figlio del divino compiacimento, Figlio dell’eterno Amore. Questo Bambino è Figlio di Maria. E Figlio dell’uomo, e vero uomo.

L’eterno compiacimento del Padre si concentra sull’uomo: ecco è la Grazia! “Pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). Questo divino compiacimento nei confronti dell’uomo è stato portato in terra dal Figlio di Maria nella notte di Betlemme. “E apparsa la grazia di Dio” (Tt 2, 11). Da Betlemme inizia la sua irradiazione sull’uomo di tutti i tempi.

Che cosa è la Grazia? È l’inizio della gloria, di quella gloria che Dio ha nel più alto dei cieli. E a questa gloria è stato chiamato l’uomo in Gesù Cristo. E ciò è successo proprio nella notte di Betlemme.

6. Quindi: esulti la terra! Terra, che sei abitazione dell’uomo! Accogli in te ancora una volta lo splendore della notte della nascita divina! Riunisciti presso questo splendore! Proclama a tutto il creato la gioia della Redenzione! Annunzia al mondo intero la speranza della Redenzione del mondo.

“Esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta / davanti al Signore” (Sal 96, 12-13). Ecco, viene. Ecco, è già tra noi: Emmanuele! Tutta la potenza della Redenzione del mondo è in lui. Alleluia!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 25 dicembre 1984

 

1. “Apparuit gratia . . .”.

A tutti voi, riuniti in questa basilica, il Vescovo di Roma, servo dei servi di Dio, rivolge il suo cordiale saluto. Egli saluta anche tutti coloro che in questa mezzanotte sono riuniti in tanti luoghi della terra.

Tutti ci riunisce la notte di Betlemme. Ogni anno la medesima notte. La richiamiamo attraverso i secoli e le generazioni con la stessa trepidazione di speranza iscritta nel “cuore dell’uomo”, nel suo destino eterno.

“Apparuit gratia . . . / Apparuit gratia Dei . . . / Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri”.

Questa notte è santa per noi.

2. Che cosa è la grazia?

Lo domandiamo a questa notte, alla notte di Betlemme.

Essa è peraltro simile a tante altre notti, che nel loro ritmo immutabile si avvicendano sul globo della terra.

Questa notte in apparenza è una notte come tante altre. Ma è la notte in cui sul piccolo angolo della terra, nelle vicinanze di Betlemme, a Sud di Gerusalemme, le tenebre della notte si trasformarono in luce.

In questa luce si compì il divino “mysterium tremendum et fascinosum”: la gloria di Dio illuminò totalmente i pastori che in questo luogo “facevano la guardia” al loro gregge, così che “essi furono presi da gran spavento . . .”.

La luce diventa voce:

“Non temete . . . / Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore . . . vi annunzio una grande gioia” (Lc 2, 10.11).

“Apparuit gratia . . . / Puer natus est nobis”: / è nato un Bambino.

La luce e la voce indicano il luogo e il significato della sua nascita.

3. È veramente nato. È nato nella stalla destinata agli animali: perché non c’era posto per lui in nessuna casa umana.

È nato durante il censimento della popolazione di Israele, mentre Cesare Augusto era a capo dell’Impero romano e Quirino era governatore in Siria.

Colui che è nato era della stirpe di Davide, e perciò, al momento della venuta al mondo, gli avvenne di trovarsi a Betlemme, che era la “città di Davide”.

È nato dalla Vergine. Il suo nome era Myriam, cioè Maria. Era la sposa di Giuseppe, della famiglia di Davide, tutti e due provenivano da Nazaret.

Dal centro della grande luce che li avvolge, i pastori odono queste parole: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12).

E così è stato effettivamente.

Apparuit gratia” . . .

4. Grazia. Che cosa è la grazia?

Dice il profeta: “Puer natus est nobis, Filius datus est nobis”.

È nato un bambino, un figlio ci è donato.

In questo bambino, nato dalla Vergine, ci è stato dato il figlio.

La Madre è Vergine.

In terra egli non ha padre.

È nato eternamente. Ed eternamente nasce: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato e non creato: della stessa sostanza del Padre.

In questa notte egli ci è stato dato:

dato mediante la nascita terrena dalla Vergine, mediante la nascita nella notte di Betlemme, mediante la nascita nella povertà.

Ci è stato dato.

La grazia è appunto dono. È il “donarsi” di Dio alla creatura, all’uomo: il “donarsi” di ciò che è divino a ciò che è umano.

In questa notte, la Grazia è diventata palese: “apparuit”. Si è manifestata nella sua dimensione definitiva. Dio “dona se stesso” nel Figlio: nell’eterno Figlio che è della stessa sostanza del Padre.

Dona se stesso per opera dello Spirito Santo, che la Vergine di Nazaret ha ricevuto nell’annunciazione.

Apparuit gratia”.

Dio dona se stesso grazie al suo infinito amore:

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

Dio dona se stesso non solo in modo invisibile, nell’intimo dei cuori umani. Dona se stesso anche in modo palese: “rivela” veramente l’eterno mistero del suo amore nelle tenebre di questa notte di Betlemme.

5. “Apparuit gratia salvatoris” . . .

Nella notte di Betlemme Dio viene all’uomo con il programma della nuova vita:

“rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo”, scrive san Paolo (Tt 2, 12).

Questo è ugualmente il programma della speranza salvifica, perché il figlio che ci è donato in questa notte di Betlemme, come fanciullo deposto in una mangiatoia, darà “se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tt 2, 14): il nuovo popolo di Dio.

La manifestazione della gloria di Dio stesso

6. “Apparuit gratia” . . . Tutto ciò è diventato palese in questa notte.

E contemporaneamente la notte di Betlemme nasconde tutto ciò con la sua misteriosa oscurità.

Soltanto Maria e Giuseppe, e insieme a loro qualche pastore, si sono trovati nel profondo della luce che ha penetrato questa notte.

7. Così fu allora . . .

Ormai quasi duemila anni ci dividono da quell’“allora”. Ed ecco che sempre veniamo, sempre ci riuniamo a mezzanotte. Richiamiamo da lontano quest’una e unica notte nella storia dell’uomo.

Apparteniamo alla generazione che apertamente ha sposato gli accenti da Dio al mondo, dall’eternità alla temporalità . . .

“Il popolo che cammina nelle tenebre . . . abitanti in terra tenebrosa”.

Alcuni pensano: non siamo forse già in un’epoca post-cristiana?

Alcuni hanno fatto dell’ateismo un programma del progresso dell’uomo.

Ma questo preteso “progresso” ha portato con sé di fatto anche una permanente minaccia nucleare, e forme di sfruttamento dell’uomo e di perdita dei valori che danno senso alla vita, senza eliminare la piaga della fame che drammaticamente affligge certe regioni della terra.

Il popolo che cammina nelle tenebre”; tenebre di ogni epoca.

E tuttavia ogni anno ritorna questa notte.

La medesima notte di Betlemme in ogni luogo della terra. E noi ci riuniamo. Siamo qui accanto al Verbo incarnato, come Maria e Giuseppe con cuore aperto ad accogliere il messaggio di speranza che il Natale reca anche oggi all’umanità.

Apparuit gratia” . . .

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Solennità del Santo Natale, 24 dicembre 1985

 

1. “Et incarnatus est de Spirito Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”.

Ripeteremo tra breve queste parole, recitando il Credo, e ci metteremo tutti in ginocchio.

In quest’ora di mezzanotte la Chiesa saluta l’inizio della solennità liturgica che celebra il momento in cui nella storia dell’umanità si sono compiute le parole appena menzionate. La solennità del Natale diventa di nuovo, ogni anno, un particolare “oggi” del Mistero, che professiamo con le parole dell’antico Simbolo di fede.

Professiamo questo mistero - il mistero dell’Incarnazione - ogni giorno; tuttavia a mezzanotte del Natale esso diventa di nuovo un grande “oggi” della Chiesa. La liturgia non solo ricorda l’avvenimento, ma “rende presente”, “attualizza” il Mistero.

2. Questo è un grande, inscrutabile mistero divino. Mistero inscrutabile è Dio stesso nella sua divinità. Mistero inscrutabile è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo nell’unità assoluta della natura divina e nella trinità delle Persone.

Tuttavia le parole del nostro Credo testimoniano qualcosa di completamente nuovo. Qualcosa che è inscrutabile, anche sotto un altro aspetto:

Cur Deus homo?”

Perché Dio si è fatto uomo? Come è possibile che Dio sia diventato uomo? Così si chiedono i secoli e le generazioni. E molti si allontanano con questa domanda sulle labbra, si allontanano increduli. A volte con una comprensibile indignazione, con una obiezione riguardo a un evento che trascende la loro mente.

È inconcepibile che Dio sia Padre e Figlio . . . È inconcepibile che Egli diventi uomo . . .

È un mistero difficile e inscrutabile come quello dell’unità e trinità di Dio.

Noi tuttavia, credendo alla onnipotenza di Dio, sappiamo che niente gli è impossibile. Dio è onnipotenza. Ma soprattutto è Amore. Nulla è impossibile all’onnipotenza, che è Amore.

E proprio questo crediamo: “per noi e per la nostra salvezza . . . si è fatto uomo”.

Per noi vuol dire: per amore verso di noi.

3. Quando ci inginocchiamo durante la liturgia del Natale pronunciando le suddette parole del Credo, diventiamo simili ai pastori di Betlemme. Loro per primi si sono trovati nel raggio di questo mistero, che illumina le tenebre della storia dell’uomo sulla terra.

Come leggiamo da Isaia:

Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 2).

Questa luce viene definita più da vicino nel vangelo di San Luca.: “La gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento” (Lc 2, 9), scrive l’evangelista.

Così dunque quella luce fu di natura misteriosa; fu destinata più allo spirito e al cuore dell’uomo che non ai suoi occhi. Mediantequesta luce si è svelato, davanti ai pastori di Betlemme il mistero inscrutabile. È diventato accessibile a loro. Essi lo hanno accolto. Sono andati nella sua direzione, si sono avvicinati ad esso. Hanno trovato “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12): nel visibile hanno riconosciuto l’Invisibile.

Sono diventati i primi testimoni del mistero. Si sono uniti a Maria e a Giuseppe. La Natività del Signore si è legata innanzitutto alla loro testimonianza. Proprio questo la Chiesa desidera esprimere con la santa Messa, che si celebra a mezzanotte e che in taluni luoghi viene chiamata “dei pastori”.

4. Da questa prima testimonianza fluisce ampiamente verso il mondo l’invito: “Christus natus est nobis, venite adoremus”. Adoremus.

Il mistero di Dio invita all’adorazione. All’adorazione invita il mistero, che si svela alla luce della Rivelazione. Invita all’adorazione il mistero di Dio, che si è fatto uomo.

Il Verbo si fece carne. In questa notte la Chiesa intera fa suo l’invito, che proviene dal presepe di Betlemme. Tutta la Chiesa si unisce a Maria e Giuseppe. Si unisce ai pastori. “Venite adoremus”. Venite adoriamo.

La luce, che li ha illuminati è “la gloria del Signore”. Dio “abita una luce inaccessibile” (cf. 1 Tm 4, 16), e anche questo Dio, che giace nella mangiatoia, come un piccolo bambino, abita in tale luce, anzi vi dimora particolarmente.

“Cur Deus homo?”.

“Propter nos homines et propter nostram salutem”.

Nella povertà della mangiatoia di Betlemme trova il suo inizio la rivelazione di quella onnipotenza che è soprattutto, “Amore”: la rivelazione dell’Amore che è il definitivo significato dell’onnipotenza.

L’Amore che è la verità definitiva dell’essenza di Dio. Il suo definitivo nome.

L’Onnipotenza sotto le forme di un Bambino.

L’Onnipotenza come non-potenza.

Non-potenza come Amore, che supera tutto, che a tutto dà senso.

5. La nascita del Signore è la luce del significato: la luce del significato ritrovato di tutte le cose. E soprattutto: del significato dell’uomo (“Cur Deus homo!”), del senso della vita umana.

Proprio questo significa: Luce!

La notte della luce. La luce della notte di Betlemme. Questo significato, questo ritrovato senso dell’umanità - e senso di tutte le cose - prorompe su tutta la terra con il canto:

“Cantate al Signore un canto nuovo, / canta al Signore tutta la terra . . .”.

A tutti voi, qui riuniti, a tutti i popoli e nazioni, a tutto il creato auguro di innalzare in questa notte di Betlemme tale canto: in tante lingue, in tante tradizioni, in tante culture:

Il canto del Natale del Signore / Il canto che proclama il significato divino della vita umana.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 24 dicembre 1986

 

1. “Non temete! Vi annuncio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11).

Siamo qui riuniti nella notte della veglia natalizia per riascoltare nuovamente, dopo secoli e secoli, queste parole. Le ascoltarono per la prima volta i pastori nei campi di Betlemme. E questa è la ragione per cui l’assemblea liturgica della notte di Natale porta in alcuni Paesi il nome di “Messa dei pastori”.

2. Siamo riuniti nella basilica di San Pietro. Partecipano alla liturgia non soltanto le persone qui presenti, ma anche numerosi nostri fratelli e sorelle ai quali questo solenne rito è fatto giungere attraverso le onde della radio e della televisione.

L’avvenimento della notte di Betlemme ci unisce tutti. In momenti successivi, scanditi dal tempo che passa sulla terra esso si realizza in tutti i luoghi del nostro pianeta.

Diverse sono pure, nelle varie regioni, le stagioni dell’anno e le condizioni climatiche di questa santa notte: essa accade sia nel caldo tropicale, sia nel rigido inverno nordico e tra le bufere di neve. Pur in condizioni così diverse ciò che si compie in questa ora è sempre lo stesso avvenimento. E la medesima “grande gioia” proclamano quanti annunciano la notte di Betlemme, anche se le loro parole sono ascoltate in tante lingue diverse di tutto il globo terrestre.

3. I pastori nei campi di Betlemme – i primi testimoni dell’avvenimento – erano figli di Israele, la cui storia era collegata con la promessa del Messia. Perciò le parole che ascoltarono potevano – e anche dovevano – suscitare la loro meraviglia. Ma, al tempo stesso, non erano parole incomprensibili per loro.

I pastori sapevano che cosa vuol dire la parola “Messia”. Da generazioni Israele viveva nell’attesa del Messia, dell’Unto del Signore. Se il “Messia” viene al mondo nella “città di Davide” è perché questa circostanza appartiene ai preannunci profetici. La città di Davide è proprio Betlemme.

Inoltre il Messia doveva provenire dalla “stirpe di Davide”. Della casa e della famiglia di Davide erano pure Giuseppe e Maria, la Madre del Neonato. E perciò a motivo del censimento ordinato dai romani, essi dovettero recarsi proprio a Betlemme, partendo da Nazaret, dove abitavano.

4. Così dunque le parole ascoltate dai pastori erano per loro comprensibili. Si compiva in esse la promessa fatta a Israele. In pari tempo queste parole dovevano essere per loro sorprendenti. L’Angelo disse: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia...”: questo sarà per voi il segno.

I pastori non dubitarono che le parole ascoltate provenivano da Dio. Si arresero alla “grande gioia”, e in pari tempo dimostrarono tranquillità e misura. Si incamminarono nella direzione indicata e trovarono tutto esattamente come era stato detto loro.

Divennero testimoni oculari dell’avvenimento, la cui adeguata dimensione è accessibile solo agli “occhi luminosi” della fede.

5. Noi tutti, religiosamente riuniti in tanti luoghi della terra per rinnovare e rendere presente, con la liturgia eucaristica, l’avvenimento salvifico, che ebbe tra i primi partecipanti i pastori di Betlemme in quella notte santa – noi tutti, tra breve ci metteremo in ginocchio, quando risuoneranno le parole ben note del Credo niceno–costantinopolitano: Dio da Dio, Luce da luce, della stessa sostanza del Padre... “incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est”.

6. Il mistero dell’Incarnazione. Il mistero del “farsi uomo” di Dio nel Figlio eterno.

Ci inginocchieremo e rimarremo prostrati per manifestare questa ineffabile realtà. Rimarremo in ginocchio a nome di tutti gli uomini, in luogo di tutto il Creato.

L’avvenimento della notte di Betlemme svela dinanzi agli occhi della nostra fede la definitiva pienezza del significato della creazione, del mondo, dell’uomo.

7. E poi dinanzi a ciascuno di voi si presenterà un sacerdote o un diacono, ministri della Eucaristia, e dirà: “Corpus Christi... – Il corpo di Cristo”. E ciascuno di voi risponderà: “Amen”; la parola della fede che riconosce, adora, ringrazia. La parola che accomuna ai pastori davanti all’avvenimento della notte di Betlemme: il Verbo si è fatto carne, la carne e il sangue della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’uomo.

L’evento della notte di Betlemme è diventato l’inizio della nuova comunione, che penetra il cuore e la storia dell’uomo sulla terra. “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.

8. “Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude, / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta / davanti al Signore che viene” (Sal 96(95),11.13).

A tutto il creato a tutti coloro che vivono questa sacra notte di Betlemme: ai fratelli e alle sorelle sparsi in tutto il globo terrestre: gioia, pace e benedizione.

Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 24 dicembre 1987

 

1. “Vi annunzio una grande gioia” (Lc 2, 10).

Questa voce venne dall’Alto. Penetrò la notte profonda, e giunse ai pastori che stavano nei campi, nei pressi di Betlemme.

Oggi la Chiesa si fa eco di tale voce in tutti i luoghi della terra:

Vi annunzio una grande gioia.

La notte descritta nel Vangelo di Luca viene riletta, in questa liturgia, attraverso la testimonianza della notte nella profezia di Isaia:

“Il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse” (Is9, 1).

La testimonianza della notte in Isaia viene riconfermata dal Vangelo. Svela il suo senso e nello stesso tempo lo ritrova più pienamente.

“Novum Testamentum in vetere latet; vetus in novo patet”, così scrive sant’Agostino, parlando dell’Antico Testamento in rapporto al Nuovo (S. Augustini, Quaest. in Hept., 2,73).

Quanto potente, però, è la testimonianza di Isaia circa la notte di Betlemme!

“Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.

2. “Vi annunzio una grande gioia”.

Dice l’Angelo del Signore ai pastori, che in un primo momento si sono spaventati: “Furono presi da grande spavento”. Per questo aggiunge subito: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 9.10).

Sì! Del popolo “che cammina nelle tenebre”, come di “coloro che abitano in terra tenebrosa”.

La voce del messaggero, in mezzo alla notte, annunzia la gioia.

È la gioia del creato. È la gioia del tempo che raggiunge la sua pienezza, secondo i disegni di Dio.

Per questo il profeta Isaia tiene davanti agli occhi non i pastori, ma i mietitori.

“Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete” (Is 9, 2).

E così hanno gioito i pastori nei campi di Betlemme.

La mietitura significa la maturità. Significa la pienezza del tempo.

3. Realmente, il tempo è maturato. All’annunzio di questa notte beata, è maturata la storia di Israele e quella dell’uomo.

Con questa nascita è maturata la storia dell’uomo secondo i disegni di Dio.

“Vi annunzio una grande gioia . . . oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore”, così l’Evangelista Luca (Lc 2, 10-11).

Ed ecco il profeta Isaia: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio . . . ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (Is 9, 5).

Quanta ricchezza di nomi!

Ma la Madre del Bambino, nato in quella notte a Betlemme, sa soltanto una cosa: “Lo chiamerai Gesù” (Lc 1, 31).

E la stessa cosa sa Giuseppe, il carpentiere, al quale Maria era “promessa sposa”.

4. Quale ricchezza di nomi nel libro del profeta! Con quale ampiezza egli cerca di esprimere chi sarà questo Bambino, questo Figlio che nascerà nella pienezza del tempo; che nascerà nella notte di Betlemme al di fuori della città, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7). Nascerà e sarà deposto “in una mangiatoia” (Lc 2, 7) destinata agli animali.

Ciò nonostante Isaia dice:

“Grande sarà il suo dominio / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide” (Is 9, 6).

E Maria aveva ascoltato durante l’annunciazione: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà per sempre . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 32).

5. Tutto questo è mirabile.

Mirabile è la testimonianza della liturgia, che attinge al profeta e al Vangelo.

Mirabile è quest’incontro dei contrasti che dovrebbero escludersi a vicenda, ma che invece nel profondo s’incontrano. S’incontrano nel profondo delle prospettive divine.

La notte di Betlemme ha già ritrovato la sua luce. I pastori sono già arrivati nella stalla.

Ed ecco, al di sopra di questo avvenimento volano, ancora una volta, le parole del profeta, che proclama:

“Questo farà l’amore geloso del Signore degli eserciti” (Is 9,6).

6. L’amore geloso?

Geloso può essere l’amore di un uomo che, pur amando, non riesce a superare il limite del proprio “io”.

Ma l’amore di Dio può essere geloso?

Di che cosa intende parlare questa notte di Betlemme?

Non rende forse testimonianza a Dio, il quale “ha superato i limiti” del suo “Io” divino? A Dio che - ecco - giace nella mangiatoia (destinata agli animali) quale Bambino avvolto in fasce (cf. Lc 2, 7)?

Amore geloso?

Che cosa significa? Chi ci darà la risposta?

7. Rispondi tu Maria. Tu lo sai già ora meglio di chiunque altro. Già nella notte di Betlemme. Già nell’ora della nascita.

Lo sai già ora, e lo saprai fino in fondo. Conoscerai fino in fondo la verità dell’“amore geloso” di Dio, tuo Figlio; che darà “se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità” (cf. Tt 2, 14).

Amore geloso? Diccelo tu, Isaia . . . Non è forse quell’amore che si dà fino alla fine e senza fine?

Quest’amore è venuto stanotte nel mondo.

Vi annunzio una grande gioia!

 

VEGLIA NATALIZIA NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 24 dicembre 1988

 

1. “Vi annunzio una grande gioia . . . 
oggi vi è nato . . . un salvatore” (Lc 2, 10-11).

Ascoltiamo questa voce che giunge dal profondo della notte di Betlemme. L’hanno ascoltata per primi i pastori “che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2, 8). Perciò la liturgia di mezzanotte viene, a volte, chiamata la “Messa dei pastori”.

Siamo riuniti nella Basilica di San Pietro, per ascoltare ancora una volta le stesse parole: 
“Vi annunzio una grande gioia”. 
Insieme con noi - mediante la radio e la televisione - ascoltano quest’annunzio gli uomini di diverse lingue, nazioni, Paesi e continenti.

Così, ogni anno, i pastori di Betlemme sono in qualche modo di nuovo presenti nei diversi luoghi della terra. 
E anche se le parole, che ascoltiamo nella notte di Natale, sono ogni anno le stesse, esse sono però sempre da noi attese e per noi sempre nuove.

2. “Oggi . . . è nato . . . un salvatore, che è il Cristo Signore”.

È nato ancora una volta. Ancora una volta è venuto nel mondo, nella notte di Betlemme. Infatti quell’“oggi” di prima, di quasi duemila anni fa, lo riviviamo come nostro.

“Vi è nato un salvatore”. Può sembrare che l’umanità abbia già fatto tanto, e continui a farlo, per “salvare” se stessa con le proprie forze, perché l’uomo sia sufficiente a se stesso. Tuttavia questi si convince sempre di più che non lo è; che tutto ciò che si chiama “civiltà”, “progresso”, “sviluppo”, non raggiunge le radici del male, che permane nella storia dell’umanità - e perfino, in un certo senso, diventa ancor più profondo e più diffuso. E, d’altra parte, tutto ciò che serve a “elevare” l’esistenza umana, ciò che la fa “migliore”, non raggiunge la pienezza di quel bene, al quale è indirizzato l’essere umano.

Intanto le parole: “vi è nato un salvatore”, continuano a toccare ciò che nell’uomo è permanente e reale, ciò che è profondamente vero. E ogni anno sono attese con le stesse motivazioni di fondo in questa nostra umanità, anche se molte volte non ne siamo consapevoli.

3. I pastori di Betlemme hanno sperimentato, quella notte, un grande stupore. Ciò che hanno ascoltato li ha riempiti, prima, di timore. Ma, “Non temete” - dice il messaggero - “Vi annunzio una grande gioia”.

Nel momento in cui Dio - il Figlio, della stessa sostanza del Padre - nasce come uomo, viene nel mondo come figlio dell’uomo, come figlio di Maria, l’uomo non può non lasciarsi prendere da un grande stupore.

Tutto il Vangelo è il libro di un grande stupore! 
Dio, infatti, è eterno e invisibile. Egli abbraccia tutto: “In lui . . . viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Dio è onnipotente. È “totalmente altro”: altro da tutto il creato. È la trascendenza assoluta. 
È possibile che egli si faccia uomo? Che nasca in una stalla abbandonata, come un bambino di genitori senza tetto?

Perché? “Cur Deus homo”?

La notte di Betlemme è l’inizio di questo stupore. I primi a viverlo sono stati proprio i pastori. E in questo stupore vi è prima una paura, e in seguito la gioia. Esso non dura soltanto un momento. È custodito dalla coscienza umana per tutta la vita.

Occorre che ogni uomo si ponga costantemente la domanda: “cur Deus homo”? Ne cerchi costantemente la risposta - e la trovi gradatamente. Che il mistero rivelatosi questa notte lo abbracci e lo compenetri sempre di più.

Sì. Il mistero!

È bene, quando l’uomo prova un timore, un tremore interiore. Ed è bene quando trova la gioia. Ma non è bene quando manca l’uno o l’altra. Non è bene. L’uomo non può essere indifferente di fronte al mistero della notte di Betlemme. Non può respingere la domanda: “cur Deus homo”?

Questo dovrebbe costituire una “lacerazione” di fondo nella sua umanità.

4. Così tutti gli uomini sono chiamati a partecipare a questa notte . . . 
“in mezzo ai popoli narrate la sua gloria, 
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi” (cf. Sal 96 [95], 3).

Nel mistero del Natale la storia dell’uomo - di ciascuno e di tutti - è chiamata a superare il limite che interiormente può bloccare il cammino verso la salvezza di Dio. L’uomo può ignorare questa chiamata. Può perfino non accettarla. Ma la “salvezza” non può venire all’uomo se non da Dio. Ed è venuta!

Proprio questa notte. 
Dio è nato come uomo, che è creatura. Tutto il creato non trova forse il suo posto in questo mistero? 
Quale significato ha il fatto che noi invitiamo la terra e il mare a partecipare alla gioia del Natale? 
“Gioiscano i cieli, esulti la terra, 
frema il mare e quanto racchiude; 
esultino i campi e quanto contengono 
si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96[95],11-12).

5. “Bet-lehem” - significa letteralmente la “casa del pane”. Cristo, che là è nato, senza trovare un tetto, costruirà nella storia del mondo una casa che corrisponde al significato di questo nome: “Bet-lehem”.

La casa del pane: l’Eucaristia. 
Lui stesso, il Salvatore, abiterà in questa casa in modo sacramentale. Anzi, lui stesso sarà questa casa: il suo corpo e il suo sangue. 
L’intera umanità, nella quale ha inizio la trasformazione divina dell’uomo.

In questo modo l’uomo potrà superare costantemente il limite frapposto alla salvezza - alla salvezza eterna - che Dio stesso ha aperto con la nascita umana del Verbo, dell’eterno suo Figlio. 
Con la nascita umana di Dio.

Veramente!

“Il popolo che camminava nelle tenebre 
vide una grande luce; 
su coloro che abitavano in terra tenebrosa 
una luce rifulse” (Is 9, 1).

Veramente!

“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia”.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Natale del Signore - Domenica, 24 dicembre 1989

 

1. “Vi annunzio una grande gioia” (Lc 2, 10).

Fu proprio in un’ora notturna come questa che i pastori di Betlemme udirono l’annunzio di una grande gioia.

Nella stessa ora noi tutti ci troviamo riuniti, qui, nella Basilica di san Pietro, per ascoltare l’annunzio della stessa gioia.

E così, come facciamo noi, si riunisce la gente, si riuniscono i nostri fratelli e sorelle, in tanti luoghi dell’intero globo terrestre.

Tutti, ovunque siano riuniti, il Vescovo di Roma saluta con le stesse parole: “Vi annunzio una grande gioia”.

Questo mio saluto va a tutti gli uomini, in ogni continente.

Va, con particolare affetto e con sempre vivo ricordo, alle nazioni che ho visitato quest’anno, alle moltitudini che ho incontrato in quei paesi: in Estremo Oriente, in Africa, nei paesi nordici. Va ai carissimi giovani che, a Santiago de Compostela, hanno celebrato con me la Giornata Mondiale della Gioventù, rappresentando anche tutti i loro coetanei, sparsi nel mondo.

Questo saluto rivolgo anche, e in modo speciale, agli uomini e alle donne di tutte le nazioni, che, collegati per via radio e televisione, ascoltano questa santa Messa di mezzanotte e partecipano, spiritualmente uniti a noi ed a tutti i credenti nel mondo, al mistero della natività del Figlio di Dio sulla terra.

2. Questo annunzio va agli uomini, ma non soltanto a loro. La liturgia di Natale, a mezzanotte, chiama alla gioia anche tutte le creature.

“Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude: / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta . . . / Cantate al Signore un canto nuovo / cantate al Signore da tutta la terra” (Sal 97, 11-12.1).

Così, dunque, da quest’annunzio di Betlemme sono chiamate alla gioia tutte le creature. Infatti, colui che nasce da Maria Vergine è “generato prima di ogni creatura” (cf. Col 1, 15). In lui e per lui è stata creata ogni cosa. Ogni bene, che si trova nelle creature, ha in lui la sua origine e il primo modello.

È mediante lui che, un tempo, il Padre ha guardato tutto il creato, e “vide che era cosa buona . . . cosa molto buona” (cf. Gen 1, 10. 31).

In questa notte di Betlemme tutti noi siamo chiamati - chiamati ancora una volta - ad esultare per l’opera della creazione.

3. “Vi annunzio una grande gioia”.

Nel momento in cui il Figlio, il Verbo eterno - il primogenito di ogni creatura - viene egli stesso in mezzo alle sue creature, questa esultanza per l’opera della creazione viene riconfermata. E, nello stesso tempo, viene elevata.

La creatura raggiunge un apice tale, che va al di là del suo orizzonte. Al di là dell’orizzonte dell’esistenza e della conoscenza.

“Hai moltiplicato la gioia / hai aumentato la letizia” (Is 9, 2).

Ma quest’apice viene raggiunto dalle creature nell’uomo. Dell’uomo fu detto al principio che era stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Nella notte di Betlemme questa verità sull’uomo viene totalmente riconfermata. E viene oltrepassata.

“Poiché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

Nella notte di Betlemme nasce il Bambino, il bambino umano: per Maria “si compirono.., i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2, 6-7).

Il messaggero celeste dice la stessa cosa ai pastori; “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12).

4. Ecco il Bambino, il bambino umano, il figlio dell’uomo, come tutti gli altri nato da donna.

Questo bambino è il Figlio: “Ci è stato dato un figlio”. Ci è stato dato dal Padre. E stato donato agli uomini e al mondo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

“Ci è stato dato un figlio”.

In questo eterno Figlio, che è della stessa sostanza del Padre, Dio stesso entra nella storia dell’uomo e del mondo.

In questo Figlio “è apparsa . . . la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2, 11).

Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, sa chi è l’uomo. Sa qual è il cuore umano, sa che è inquieto finché non riposa in lui (cf. S. Augustini, Confessiones, I, 1: CSEL 33, 1).

E per questo - proprio per questo - “ci è stato dato un figlio”. Il cuore umano, venendo alla mangiatoia di Betlemme, vi ritrova quella pace che può essere trovata soltanto in Dio. Questa pace è strettamente congiunta con la gloria di Dio, come proclama il messaggio della notte di Betlemme.

5. “Vi annunzio una grande gioia . . . oggi vi è nato . . . un salvatore” (Lc 2, 10-11).

Ma questa gioia è così pura, così piena come noi la vorremmo?

Sì e no. Su di essa si proietta infatti un’ombra di tristezza. Il Bambino - il Figlio di Dio - nasce in una stalla, perché non c’era posto per lui nell’albergo (cf. Lc 2, 7).

Il momento della venuta è insieme il momento della non-accoglienza, del rifiuto: “Non c’era posto”. Questa ombra di tristezza si allungherà. Si addenserà fino al rifiuto, mediante la Croce, sul Golgota. In tal modo dall’uomo sarà rifiutato il Figlio, che ci è stato dato dall’amore del Padre.

Gesù Cristo, “il quale ha dato se stesso per noi, per riscattare da ogni iniquità” (Tt 2, 14).

6. Noi, qui riuniti, salutiamo, insieme con i nostri fratelli e sorelle che sono con noi collegati, la nascita di Dio con la liturgia del sacrificio eucaristico. È il sacrificio della nostra Redenzione. Questo sacrificio rende presente la Croce e la Risurrezione: il mistero pasquale di Cristo, Tale mistero ha il suo inizio nella notte di Betlemme, quando ci è nato un Salvatore. Il redentore dell’uomo, il redentore del mondo!

La Chiesa, che annunzia in questa notte “una grande gioia”, sa che questa gioia viene totalmente da Dio. E il dono del suo amore.

Essa sa pure che, soltanto questa gioia dilata il cuore umano fino alle dimensioni sovratemporali, che per l’uomo ha preparato Dio stesso.

Lo sa, e per questo ripete, anche in questa notte, davanti al mondo; “Vi annunzio una grande gioia. Oggi è nato il Salvatore!”.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Lunedì, 24 dicembre 1990

 

Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”.

1. Pronunciando queste parole del “Credo”, stanotte noi ci inginocchiamo. Esse esprimono il mistero che la notte della veglia natalizia ci rende presente, ogni anno. La liturgia della Messa di mezzanotte contiene prima di tutto la descrizione degli avvenimenti che ebbero luogo a Betlemme, il villaggio a sud di Gerusalemme. Tali eventi appartengono alla storia: quella delle persone concrete di Maria, di Giuseppe, dei pastori che sorvegliavano il gregge. E, nello stesso tempo, quella di Cesare Augusto, di Quirino e degli abitanti di Gerusalemme.

Il mistero supera questi avvenimenti e, nello stesso tempo, li riveste, dando ad essi un diverso significato: “Incarnatus est”!

Quando il Verbo si fa carne, quando il Figlio consustanziale al Padre nelle profondità dell’Eterna Trinità, diventa, per opera dello Spirito Santo, uomo, Figlio di Maria, allora gli occhi umani vedono, nell’aspetto umano, colui che è invisibile. Vedono colui che “abita una luce inaccessibile” (1 Tm 6, 16). Questa santa notte di Betlemme è il momento, il primo in cui Dio invisibile può essere visto. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dirà un giorno Gesù agli apostoli (Gv 14, 9).

2. Ci inginocchiamo quindi di fronte al mistero ineffabile. Possiamo forse fermarci alla superficie degli avvenimenti? Essi sono semplici e, insieme, pieni di un mirabile incanto, benché in se stessi non cessino di esprimere la povertà e perfino il rifiuto degli uomini: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11).

Non si può forse dire che questi primi momenti della nascita di Gesù di Nazaret tracciano, in qualche modo, tutto il suo cammino terreno, il cammino di Messia e di Redentore? Infatti sappiamo che verrà nella liturgia il giorno in cui la Chiesa, in tutto il mondo, di nuovo s’inginocchierà. Ciò avverrà nel venerdì santo, durante l’adorazione della croce . . .

Questa notte: “Christus natus est nobis / venite adoremus”. Il venerdì santo: “Ecce lignum crucis, in quo salus mundi pependit / venite adoremus”.

3. “Salus mundi”. “Vi annunzio con grande gioia . . . oggi vi è nato . . . un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 10). Queste sono le parole che stanotte i pastori di Betlemme sentono.

L’apostolo Paolo nella Lettera a Tito le commenta ampiamente: “È apparsa . . . la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. La salvezza in Gesù Cristo “il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità” (Tt 2, 11. 14).

Questa salvezza plasma la vita umana nel mondo, le dà una forma divina: “ci insegna . . . a vivere con . . . pietà” (Tt 2, 12). Essa dà anche all’esistenza umana sulla terra il senso definitivo, avviando la nostra vita alla futura gloria in Gesù Cristo.

Tutto ha il suo inizio in questa notte di Betlemme. Qui nasce il nuovo principio della storia dell’uomo. In Gesù Cristo si rivela la Grazia. Dio riconferma in lui il suo amore all’uomo. Infatti il canto natalizio della notte di Betlemme parla degli uomini che Dio ama (cf. Lc 2, 14).

4. Ecco una grande gioia: “vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo”. Non soltanto del popolo eletto dal quale nacque Gesù. È la gioia di tutti gli uomini. La gioia di ogni uomo. Il mistero della notte di Betlemme ha una portata universale. È la prima parola del Vangelo, cioè della buona novella.

Dio si compiace in ogni uomo. Il Padre vede ciascuno di noi nel Figlio di Maria, poiché lui è il Figlio Eterno, della stessa sostanza del Padre. Egli stesso è il Figlio del compiacimento di Dio: Dio da Dio e Luce da Luce. In lui incominciamo ad esistere di nuovo, quando nasce per redimerci. In lui diventiamo “figli nel Figlio”, figli che Dio ama.

Non è forse proprio questa la prima e fondamentale verità della buona novella? Non è forse proprio questo che è atteso dall’uomo di tutti i tempi? La fondamentale e assoluta affermazione. Non ne ha forse bisogno anche - e forse in modo particolare - l’uomo dei nostri tempi? Non è questo che, in mezzo a tutte le conquiste del progresso della civiltà materiale, gli manca di più? Egli è tentato sin dall’inizio di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) . . . senza Dio! Senza il mistero dell’incarnazione. Senza la notte di Betlemme.

5. Tuttavia questa notte inconcepibile perdura e si ripete. “Vi annunzio una grande gioia”. La gioia che deriva da un dono puro, da un dono insuperabile. Non è possibile pensare a un dono più grande. Non è possibile offrire all’uomo un dono più grande. Occorre soltanto che egli apra gli occhi in questa notte, così come hanno fatto i pastori di Betlemme, e poi i magi dell’Oriente, e in seguito, nel corso dei secoli e delle generazioni, tanti e tanti altri.

Una gioia grande. Quest’è la gioia di tutto il creato, poiché in questa notte viene alla luce colui che è “generato prima di ogni creatura” (cf. Col 1, 15). Tutto il creato trova in lui, nel Verbo di Dio, la sua eterna origine, il suo posto: “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3).

Oh, notte di Betlemme! Ci sia consentito di parlare con la voce di tutte le creature! Ci sia consentito di parlare con le lingue di tutti i popoli e di tutti gli uomini! Notte di Betlemme, ti salutiamo. Christus natus est nobis! Venite, adoremus!

 

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Mercoledì, 25 dicembre 1991

 

1. “Un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

Il Bambino nasce a mezzanotte. Nasce in una stalla, vicino alla città di Betlemme, nei campi nei quali i pastori facevano la guardia al loro gregge (cf. Lc 2, 8).

Nasce il Bambino! Tanti bambini nascono in tutta l’estensione della terra, tra nord e sud, in occidente e in oriente. Il Bambino: uno tra i miliardi dei nati sulla terra che è l’abitazione dell’uomo.

Viene alla luce l’uomo nato da donna, come ogni essere umano.

2. Quest’uomo è un dono. Il Profeta dice: “ci è stato dato un figlio”. Non soltanto è nato da Maria Vergine, ma la sua nascita costituisce un dono. Essa ha il suo principio nella nascita eterna: è il Figlio dell’Eterno Padre. È il testimone del Mistero Trinitario di Dio.

Ci è stato dato un figlio. Nascendo da Maria porta in sé questa Nascita eterna: Dio da Dio, Luce da Luce.

Viene per rivelare il Padre. Dio che è il Padre. Egli stesso è la rivelazione del Padre. “Dio . . . ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

Ci è stato dato un figlio.

Ci è stato dato perché diventi la caparra della nostra figliolanza in Dio; perché noi stessi - noi uomini - possiamo diventare figli di Dio: figli nel Figlio, figli a somiglianza del Figlio.

A Jasna Gora quest’anno, nel Santuario di Czestochowa, i giovani dell’Occidente e dell’Oriente, di tutta l’Europa e degli altri continenti, si sono riuniti per scoprire di nuovo la verità di questa figliolanza, che ha il suo inizio terreno nella notte di Betlemme.

3. Passa la notte di Betlemme come ogni altra notte. Ad essa segue il giorno, e poi di nuovo la notte e quindi il giorno.

Siamo forse riuniti, in questa notte di dicembre, qui come ovunque nel mondo, soltanto per ricordare l’avvenimento che è passato alla storia, come ogni nascita dell’uomo passa alla storia e gradualmente diventa un ricordo?

Ci è stato dato un figlio: ecco un avvenimento che conta già quasi duemila anni! Tuttavia non può essere considerato un passato. Questa nascita è di oggi e di domani, di sempre: “Ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità”, dice il Profeta (Is 9, 5).

Questo figlio è dono. E quale sovranità può essere sul mondo umano il dono? È una sovranità completamente dissimile da quella degli uomini: da quella di Augusto, Imperatore romano, di Quirino, Governatore della Siria, o di Erode, Re della Giudea.

Questa è la sovranità di salvezza! “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia . . . oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore” (Lc 2, 10-11): il Salvatore del mondo.

Ci è stato dato un figlio: il Dono che salva. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

Soltanto Dio può elargire all’uomo il bene che non conosce il male; soltanto Dio può dare all’uomo la vita che non conosce la morte; soltanto Dio può salvare: il Figlio di Dio della stessa sostanza del Padre, che nasce nella notte di Betlemme! Solo Lui ha una tale sovranità. Essa si manifesterà alla fine della sua missione terrena: nella notte pasquale della risurrezione, per durare fino alla fine dei secoli e oltre i limiti del tempo.

4. Ora è ancora in corso la notte di Betlemme: i primi preparativi dell’umanità alla notte pasquale.

Ora è ancora la notte di Betlemme. Nella stalla, vicino alla cittadina di Betlemme, restano in contemplazione del Neonato Maria e Giuseppe, lo sposo della Vergine testimone del Mistero della nascita di Cristo. Nella stessa notte, arrivano dai campi vicini i pastori, portando doni.

In questa stessa notte anche noi celebriamo qui, nella Basilica di San Pietro a Roma, lo stesso Mistero. E come noi, altri nostri fratelli e sorelle rivivono questo felice evento in diversi luoghi della terra. Insieme a Maria e Giuseppe ci inchiniamo davanti all’ineffabile Mistero di Dio:

“Ci è stato dato un figlio!”.

Accogliamo ancora una volta questo Dono! La gioia penetra i nostri cuori e le labbra intonano un canto nelle lingue e nei dialetti del mondo intero: il canto di Natale! Il Canto della gioia e dell’esultanza.

Veramente:“un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

“Cantate al Signore da tutta la terra” (Sal 96, 1).

Dio . . . ha amato il mondo” (Gv 3, 16).

Amen!

 

MESSA «IN NOCTE SANCTA»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Giovedì, 24 dicembre 1992

 

1. “Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14).

Ecco la notte che abbiamo atteso tutto l’anno. In questa notte si compiono le parole del Profeta Isaia sulle tenebre e sulla luce:“Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1).

Quella luce squarciò la notte che era calata su Betlemme di Giudea. Grazie alla luce di quella notte, gli uomini si trovarono immersi in uno straordinario chiarore: furono innanzitutto degli uomini semplici, i pastori che facevano la guardia al loro gregge. Nel loro animo rifulse la luce. Non solo intorno a loro c’era la luce, ma anche dentro di loro. La luce annunciata da Isaia era entrata nei loro cuori. In quella luce era presente Dio stesso. Era una luce di Teofania. 
Come una volta Abramo, Mosè e i Profeti, così ora anch’essi si trovavano entro il raggio della luce di Dio, che li aveva svegliati nella notte - e li aveva spinti a mettersi in cammino verso Betlemme: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 11).

2. Non dentro la città, ma fuori di essa. Il luogo della nascita del Salvatore era avvolto nelle tenebre di quella notte. I pastori erano stati preavvisati: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12). È possibile? Perché il Salvatore del mondo viene ai suoi in un simile modo? Perché, pur avendo fatto capire ai suoi fin dall’inizio che sarebbe venuto, i suoi non l’hanno accolto? Così è stato, infatti, già in Betlemme.

I pastori furono avvolti da una luce dall’alto. Quando si trovarono di fronte al bambino appena nato, capirono di essere arrivati al centro di una Teofania. La stessa certezza dimostreranno più tardi anche i Re Magi venuti dall’Oriente, quando si troveranno alla soglia della capanna. Anch’essi, come i pastori, entrano nel raggio della luce divina che è venuta nel mondo. Su quella luce le tenebre non hanno prevalso (cf. Gv 1, 5). E non prevarranno. Come nella notte di Betlemme, né le tenebre dell’indigenza, né lo squallore dell’abbandono e dell’umiliazione hanno potuto soffocare la Luce del Mistero Divino. Ecco, il Verbo si è fatto carne.

3. Come più tardi i Magi dell’Oriente, così in quella notte i pastori di Betlemme attuano in sé le parole del Profeta sul popolo - sul popolo dell’Antica Alleanza, da cui doveva nascere il Messia, il Salvatore del mondo:

Ecco, “il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce” (Is 9, 1). 
La salvezza del mondo ha la sua fonte in Dio stesso, e il suo inizio temporale proprio qui, in mezzo a questo popolo eletto. Da qui essa deve diffondersi su tutta la terra. Ecco, “il popolo che camminava nelle tenebre” vedrà una grande luce. Tra tante nazioni e popoli in tutto il globo terrestre, un unico popolo di Dio. Lo spazio della Nascita di Dio, che all’inizio ha avvolto di luce i campi di Betlemme, oggi si trova in innumerevoli luoghi della terra. 
Dovunque si celebra, a mezzanotte, questa liturgia piena di gioia, si rinnova e si fa presente il Mistero di cui, quella notte, i pastori divennero partecipi, presso Betlemme, città di Davide: 
“Hai moltiplicato la gioia / hai aumentato la letizia” (Is 9,  2).

4. Questa letizia è più forte della povertà e della miseria. La conoscono anche i “poveri in spirito”. Come allora i pastori di Betlemme così, attraverso i secoli e le generazioni, tanti e tanti uomini di “buona volontà”. Da dove scaturisce questa letizia? Non scaturisce forse dal fatto che la nascita “da una donna” (Gal 4, 4) del Figlio consustanziale al Padre dà a tutti la certezza dell’amore di Dio? Può esservi forse una dimostrazione più convincente del fatto che Dio ama l’uomo, che ha trovato negli uomini la sua compiacenza? Può esservi una verifica ancora più evidente? Ecco qui, colui che è.

Ecco, colui che è - non nel roveto ardente, non nei tuoni e nei fulmini, come sul monte Sinai. Ecco, colui che è come uno di noi: come Uomo . . . come un Bambino appena nato dalla Vergine Madre. Affidato alla premura di Maria e di Giuseppe. 
Ecco, Egli è colui che è.

5. “Natus est nobis . . .”
Lo spazio della Teofania di Betlemme si compie fino ai confini della creazione. Anzi, li oltrepassa. Abbraccia la terra e, al tempo stesso, sale a quelle altezze che sono colme della gloria di Dio. 
Gloria a Dio nel più alto dei cieli” (Lc 2, 14). 
Quel Dio che ha amato il mondo - lo ha amato fino a dare il proprio Figlio per la salvezza dell’uomo - rivela agli uomini la pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). 
Come è difficile per il mondo assicurare la pace all’uomo - agli uomini, alle nazioni, alle epoche storiche! 
“Io la do a voi . . .”: pace sulla terra agli uomini di buona volontà! 
Ma può veramente prevalere la pace sulla terra, quando manca la buona volontà, quando agli uomini non importa se Dio li ama? 
Questa notte, la Chiesa guarda a Te, Gesù Cristo, che sei il Dio Forte e il principe della Pace - e Ti domanda la pace per tutta l’umanità redenta. Questa pace è il tuo Nome. 
Erit Iste Pax!

 

MESSA «IN NOCTE SANCTA»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Sabato, 25 dicembre 1993

 

1. “Una luce rifulse” (Is 9, 1).

Quale luce rifulse nella notte su Betlemme di Giuda? Ne videro forse tutti il bagliore? Quanto lontano arrivò? “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce” (Lc 2, 8-9).

La luce brillò dunque negli occhi e nei cuori di quei pastori: luce insolita e per questo essi “furono presi da grande spavento” (Lc 2, 9). E come non spaventarsi, nella notte profonda?

Quella luce annunzia il nuovo inizio.

L’angelo dice: “Ecco, vi annunzio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore” (Lc 2, 10-11). Betlemme di Giuda è la città di Davide, situata nei pressi di Gerusalemme, ed indicata dai profeti come terra che avrebbe accolto la venuta del Messia nel mondo. È Cristo la luce vera entrata nel mondo (cf. Gv 1, 9), che “splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5). Solo gli occhi illuminati dalla fede possono in effetti “vederla”.

Furono i pastori, semplici e poveri in spirito, i primi fortunati testimoni della nascita del Salvatore.

Perché essi e non altri abitanti di Betlemme? Perché non tutto Israele, popolo che Dio si è scelto? Nel Vangelo di Giovanni troviamo la risposta: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3, 19). Ci si può allora meravigliare? Ci si può meravigliare se gli uomini non hanno visto la luce: Jahvè, Dio ha chiamato l’intero popolo per preannunciare la venuta del Messia, ma nella notte della sua venuta ha scelto soltanto alcuni ad esserne testimoni: i pastori di Betlemme.

2. Eccoci, carissimi fratelli e sorelle, in questa Basilica di San Pietro. Tra noi ci sono abitanti di questa Città e pellegrini, venuti da Paesi diversi. Roma è sempre stata una Città cosmopolita. Un tempo era la capitale di un grande Impero, oggi è un moderno centro di civiltà a cui approdano persone dalle più svariate regioni del mondo. Alcuni conoscono già Cristo, altri non lo hanno ancora incontrato. In questa notte di Natale, è come se qui si dessero appuntamento tutti.

La liturgia che celebriamo si compie contemporaneamente nel luogo stesso della nascita del Messia. In spirito, quindi, siamo presenti a Betlemme di Giuda, in quella terra che Dio ha scelta come luogo della nascita del suo Figlio: la Terra Santa, terra del divino Avvento. Dopo la lunga preparazione, è giunta finalmente “la pienezza del tempo” (Gal 4, 4), e Dio si fa incontro all’uomo nel suo stesso Figlio.

È Natale! Riuniti in questo luogo santo, presso la tomba dell’Apostolo, ci sentiamo in comunione con tutti coloro che, in tanti angoli del globo, partecipano alla stessa liturgia. È come se questo “luogo” si estendesse in tutto il mondo e coloro che sono qui radunati rappresentassero, in qualche modo, le nazioni e i popoli di ogni continente. A tutti l’angelo reca una lieta notizia: “Vi è nato... un Salvatore, che è il Cristo Signore... vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 11. 10). Cristo è nato per ogni uomo. Lo ricorda appunto il Concilio quando afferma che venendo nel mondo “il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et Spes, 22). Per tutti! Egli è nato per salvare tutti, in ogni epoca della storia.

Il profeta narra del popolo che camminava nelle tenebre e che vide una grande luce. Racconta di coloro che abitavano in una terra tenebrosa su cui rifulse una luce (cf. Is 9, 1). Isaia parla proprio di noi! I testi liturgici dell’Avvento hanno spesso descritto la notte e il deserto. Hanno annunciato la rugiada che deve rendere fecondo questo deserto. Ed ecco la liturgia di questa Notte santainvitare alla gioia l’intero creato. “Esultino i campi e quanto contengono; si rallegrino gli alberi della foresta... Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude” (Sal 96, 12.1). Ecco, viene Colui che è “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15).

3. Gesù Cristo è il Signore della storia. Alla sua nascita, Egli si fa registrare secondo l’editto di Cesare Augusto. Maria e Giuseppe si recano da Nazaret a Betlemme, città di Davide, proprio per questa ragione, perché ambedue erano della stirpe e della casa di Davide. Colui che nasce questa notte a Betlemme si inserisce pienamente nella storia dell’uomo. E se, da un lato Egli ne è il Signore, dall’altro, e nello stesso tempo, il suo venire incontro ai suoi non ha nulla a che fare con la dominazione. Già si vede, proprio in questo momento, quanto “umiliò se stesso... assumendo la condizione di servo” (Fil 2, 7-8). Già si vede in questa notte come questa umiliazione costituisca l’inizio della sua passione e della sua morte in croce. Egli viene per “dare se stesso” (Gal 1, 4). Così, nella storia dell’uomo si innesta la storia della salvezza. La grande luce che rifulse agli occhi dei pastori di Betlemme parla oggi di salvezza a coloro che sono pronti ad accoglierla con cuore semplice e umile.

4. Da dove viene la luce che rifulse a Betlemme e che videro quei poveri pastori?

Essa viene dal cielo. Lo splendore, che si spande sul firmamento, ha origine da Colui che dirà di se stesso: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 12), venuta per illuminare i cammini confusi dell’uomo sulla terra. Ha origine da Colui che risusciterà il terzo giorno, per testimoniare fino alla fine che Egli è il sole di giustizia atto ad illuminare ogni uomo che viene nel mondo. Egli è la luce! Sul Monte Tabor il suo volto diventerà chiaro come il giorno, rivelando la luce della vita divina presente in Lui. Nella Notte di Natale, quella luce la videro soltanto i pastori e senza indugio andarono alla fonte da cui essa proveniva.

Carissimi fratelli e sorelle qui presenti e voi che siete a noi spiritualmente uniti in qualsiasi angolo della terra, domandiamo al Signore di avere parte a questa luce. Il Santo Natale sia per tutti un nuovo inizio. “Gioiscano i cieli, esulti la terra”, ma soprattuttosi rallegri l’uomo!

Il Santo Natale è la festa dell’uomo, da Dio chiamato a divenire, nel suo Figlio Eterno, figlio lui stesso di Dio e a incontrare così la salvezza. Dio vuole che sui popoli di tutti i continenti risplenda la luce e che l’umanità tutt’intera gioisca dello “splendore della verità” (Veritatis splendor). Che cosa Dio può desiderare di più per l’uomo?

“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14).

 

MESSA DELLA NOTTE SANTA DI NATALE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Domenica, 25 dicembre 1994

 

1. “Puer est natus nobis, Filius datus est nobis”: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

In questa notte, in cui si celebra il Natale del Signore, le parole del profeta Isaia acquistano una particolare attualità. Ecco: nasce il Bambino. Scrive l’evangelista Luca: “Si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 6-7). Sono parole che ben conosciamo. Parlano a noi da innumerevoli rappresentazioni artistiche e da tanti brani di letteratura. Esse si trovano al centro della cultura cristiana e, in certo senso, anche di quella universale.

Nasce il Dio-Uomo, scegliendo di venire al mondo dal grembo di una madre come ogni uomo. È il primogenito, il primo e l’unico, dato alla luce da Maria. Come avviene per ogni neonato, anch’egli è lasciato alle premure della sua Genitrice e di Giuseppe, il carpentiere, che per volontà del Padre celeste ne diviene il custode sulla terra.

Il tempo della sua nascita ha una precisa collocazione storica: Gesù viene alla luce al tempo di Cesare Augusto, mentre Quirino è il governatore romano della Siria ed ha sotto la sua giurisdizione anche la Palestina. Gesù nasce durante il censimento disposto da Augusto per tutto l’impero. Per sottomettersi a tale ordine, Giuseppe e Maria si recano da Nazaret a Betlemme, perché appartenenti entrambi alla stirpe di Davide. Ma ciò che ha una particolare eloquenza è il fatto che, appena nato, il bambino Gesù “venne deposto in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7).

2. “Puer est natus nobis, Filius datus est nobis . . .”.

Il Vangelo di san Luca ci racconta tutto ciò che riguarda la nascita del Bambino: era un puer, cioè un maschio; la madre era vergine, sposa di un uomo della casa di Davide (cf. Lc 1, 27), il luogo della nascita Betlemme (cf. Lc 2, 4), la culla una semplice mangiatoia (cf. Lc 2, 7). Esponendo l’evento, Luca lascia intravedere allo stesso tempo il contesto familiare. Come ogni famiglia umana, anche quella di Gesù attraversa i suoi momenti difficili. Poco dopo la nascita del Bambino, infatti, essa dovrà fuggire davanti alla crudeltà di Erode e, dopo la morte di questi, tornata in Galilea, condividerà la sorte di tanta gente semplice d’Israele.

Questa Famiglia è stata lungo l’arco di quest’anno il modello di tutte le famiglie umane, e lo rimane per sempre. Essa è, infatti, la Santa Famiglia. È la Famiglia nella quale venne al mondo il Figlio di Dio, il Redentore del mondo.

Nella notte del Natale del Signore, i pastori, che custodivano il gregge nei campi intorno a Betlemme, udirono le parole che li invitavano al luogo dove era deposto il Bambino. Un angelo disse loro: “Ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 10-12). I pastori di Betlemme possono così convincersi che la via della salvezza passa attraverso la famiglia.

Anche noi abbiamo potuto nuovamente convincerci di tale verità nel corso di quest’anno che sta ormai per terminare. Esso in tutto il mondo e nella Chiesa è stato l’Anno della Famiglia.

3. “Filius datus est nobis . . .”: “Ci è stato dato un figlio . . .” (Is 9, 5). Come è precisa la distinzione applicata dal profeta Isaia! Egli preannuncia la nascita del Signore, così come la raccontano il Vangelo di Luca e di Matteo, come pure quello di Giovanni. Se, infatti, il Bambino è nato come Figlio dell’uomo, figlio di una Madre umana, allo stesso tempo questo Figlio è stato dato dal Padre celeste come il più grande dono per l’uomo. Qui riuniti, siamo testimoni del mistero dell’Incarnazione. Il Figlio consustanziale al Padre, Colui che professiamo nel Credo con le parole: “Dio da Dio, Luce da Luce”, si fa uomo. “Il Verbo si fece carne”, scrive san Giovanni nel suo Vangelo (Gv 1, 14).

Con la sua nascita il Dio-Uomo introduce l’intera umanità nella dimensione della divinità, elargisce ad ogni uomo, che nella fede si apre ad accogliere il dono, la partecipazione alla vita divina. Proprio questo è il significato di quella salvezza di cui odono parlare i pastori nella notte di Betlemme: “Vi è nato un Salvatore . . .” (Lc 2, 11).

La via della salvezza passa attraverso la famiglia, non soltanto nel primordiale senso umano del termine, ma più ancora in ragione di quello che scaturisce dal Natale del Signore. Quando infatti l’eterno Padre ci consegna il suo Figlio perché questi dimori tra noi, egli dona a noi anche se stesso, ci dona insieme a lui la sua paternità, offrendo a tutti, all’umanità intera, la possibilità di entrare a far parte della grande famiglia divina. Le vie della salvezza dell’uomo si uniscono con quella Famiglia divina che si manifestò nella notte di Betlemme. L’Anno della Famiglia, che sta per finire, aiuti noi tutti ad approfondire questo mistero, per il bene di tutti gli uomini e di tutte le Nazioni del mondo.

4. Leggiamo in Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” (Is 9, 1-2).

Come avviene che il Natale del Signore sia un evento di gioia? È quanto accade, infatti, non solo per i cristiani, ma anche per gli altri. Il periodo di Natale è, nella liturgia e nella tradizione, un periodo di particolare letizia. La troviamo nei canti che oggi, sin dalla mezzanotte, risuonano qui nella Basilica di San Pietro e in tutto l’orbe terrestre. Essi risuonano perfino in mezzo alla sofferenza, come possono testimoniare quanti stanno vivendo l’esperienza del carcere, del campo di concentramento, dell’ospedale o di altri luoghi, nei quali si è sofferto o si continua a soffrire. La gioia per la nascita del Figlio di Dio è più grande della sofferenza. E io condivido questa gioia con voi tutti e tutti ad essa invito con le parole angeliche: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14).

Cari Fratelli e Sorelle, vi annunzio una grande gioia: per mezzo del Figlio, che s’è fatto uomo per noi, Dio ci ama!

 

MESSA «IN NOCTE SANCTA» NELLA BASILICA VATICANA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Lunedì, 25 dicembre 1995

 

1. “Oggi è nato per noi il Salvatore” (Salmo resp.).

All’“oggi” del grande mistero dell’Incarnazione corrisponde in modo particolare quest’ora, in cui celebriamo la Santa Messa chiamata “di mezzanotte”. Secondo la tradizione, il Figlio di Dio venne al mondo a Betlemme, nel cuore della notte.

Leggiamo nel testo del profeta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9, 1). A questo popolo appartenevano i pastori di Betlemme, che vegliavano di notte il loro gregge ed ai quali, per primi, giunse la notizia: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 11). E per primi si recarono, seguendo la chiamata dell’angelo, alla stalla dove era nato Gesù.

“Oggi è nato il Cristo Signore, il Salvatore”! Questa lieta notizia invita l’intera creazione a cantare al Signore “un canto nuovo”: “Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto contengono, si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 95, 11-12).

Per questo nella notte di Natale il mondo intero risuona di canti di gioia, in tutte le lingue del mondo. Sono canti che possiedono un fascino singolare e contribuiscono a creare il clima inconfondibile di questo periodo dell’anno liturgico. Davvero, come dice il profeta Isaia, “hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” (Is 9, 2)!

2. “Oggi è nato” (cf. Lc 2, 11).

Accanto al termine “è nato”, natus est, nei testi liturgici troviamo un’altra espressione: apparuit, “apparve”, “si è manifestato”. Quando nasce un bambino, appare nel mondo una nuova persona. In riferimento alla nascita a Betlemme del Figlio di Maria, la liturgia parla di “manifestazione”, come viene sottolineato specialmente nella Lettera di san Paolo Apostolo a Tito: “È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza” (Tt 2, 11).

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”, è scritto nel testo di Isaia (Is 9, 5). In questo Bambino è apparsa la grazia di Dio, che reca la salvezza a tutti gli uomini. Questa grazia è prima di tutto Egli stesso, il Figlio unigenito dell’eterno Padre, che in quest’ora si fa uomo nascendo da una donna. La sua nascita a Betlemme costituisce il primo momento della grande rivelazione di Dio in Cristo.

I pastori giungono alla stalla e vi trovano “il Salvatore del mondo, che è il Cristo Signore” (cf. Lc 2,11). E anche se i loro occhi vedono un neonato avvolto in panni e deposto in una mangiatoia, in quel “segno”, grazie alla luce interiore della fede, riconoscono il Messia annunciato dai Profeti. In lui si manifesta l’amore di Dio per l’uomo, per tutta l’umanità. Colui che nasce nella notte di Betlemme viene al mondo per dare “se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tt 2, 14).

3. “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14).

Quest’inno, entrato stabilmente nella tradizione liturgica della Chiesa, risuona per la prima volta nella notte di Betlemme e parla di un singolare, straordinario avvicinamento tra Dio e l’uomo. In realtà, mai Dio si è così avvicinato all’uomo come in quella notte, quando il Figlio unigenito del Padre si è fatto uomo. Ed anche se la sua nascita avvenne in condizioni modeste e povere – Gesù nacque nella povertà di una stalla, come un senzatetto –, essa tuttavia fu ricolma di gloria divina. Gloria, infatti, non significa soltanto splendore esterno; significa prima di tutto santità.

L’ora della nascita del Figlio di Dio nella stalla di Betlemme è l’ora in cui irrompe la santità di Dio nella storia del mondo. “Notte santa”, come annunzia un notissimo canto natalizio. Notte che è, al tempo stesso, inizio della santificazione dell’uomo per opera di quell’Unico, che solo è “il Santo di Dio”. L’inno angelico che accompagna il Natale del Signore annunzia proprio questo.

Contemporaneamente esso proclama la pace sulla terra. Pensiamo anzitutto alla pace in senso storico. Così, nella notte del Natale del Signore, si rinnova in noi la speranza di pace per tutti gli uomini e per tutti i popoli colpiti dalla guerra: nei Balcani, in Africa e in ogni luogo in cui manca la pace.

Ma nella liturgia natalizia la parola “pace” riveste anche un altro e più profondo significato. Essa si riferisce alla nuova Alleanza di Dio con gli uomini, al suo rinnovamento e definitivo compimento. Se l’Alleanza di Dio con gli uomini è una realtà che coinvolge l’intera storia della salvezza, essa non avrebbe potuto trovare un’espressione più piena di questa: Dio ha accolto in Se stesso l’umanità, assumendola nell’unica Persona del Figlio. In tal modo Egli ha unito in sé il divino e l’umano, a perenne e stabile fondamento della pace e dell’eterna Alleanza. Per questo la Chiesa intera intona in questa notte un canto nuovo: “Gloria a Te, Dio fatto uomo, e pace agli uomini salvati dal tuo amore!”.

 

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA NOTTE SANTA DI NATALE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Mercoledì, 25 dicembre 1996

 

1. “Nella notte profonda risuona una voce” (Canto natalizio polacco). Dice il profeta Isaia nella prima Lettura: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1). Rifulse la luce “poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

Il citato canto natalizio identifica quella voce nella notte: “Su, pastori, Dio nasce per voi, affrettatevi a Betlemme per salutare il Signore”. È la stessa voce che risuona nel brano evangelico di san Luca, appena proclamato: “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte, facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”” (Lc 2, 8-12).

Il canto natalizio prosegue: “Andarono [i pastori], nella mangiatoia trovarono il Bambino con tutti i segni che l’avevano preannunciato. Lo adorarono come Dio...”.

2. Quanto san Luca scrisse nel Vangelo a proposito della nascita del Signore Gesù è stato tradotto in innumerevoli canti ed opere letterarie, che formano la ricca tradizione ispirata dal Natale. Portiamo con noi questa tradizione venendo alla santa Messa di mezzanotte, detta anche “Messa dei pastori”, che, in queste ore, insieme con me, Vescovo di Roma, stanno celebrando tanti Vescovi e sacerdoti in tutto il mondo.

In ogni luogo i canti liturgici ed extraliturgici annunziano la gioia della nascita del Signore. L’angelo dice: Non temete, gioite! La nascita di un essere umano è sempre fonte di grande gioia (cf. Gv 16, 21). Di quale gioia, dunque, deve essere motivo la nascita del Dio-Uomo! Dice Isaia: “Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete” (Is 9, 2). Singolare messe! Ecco, l’umanità è matura per questo momento, nel quale il Creatore nasce “da donna”. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 27), cresce e cammina verso questo Dio-Uomo, nel quale riceve in dono il proprio compimento ed in cui, al tempo stesso, è elevato a pienezza tutto il creato.

Il Salmo responsoriale di questa Liturgia annunzia: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome. Annunziate di giorno in giorno la sua salvezza” (Sal 95[96], 1-2). E un canto natalizio riecheggia: “Tutta la creazione canti al suo Signore”. Questo invito alla lode risuona con particolare eloquenza. Ecco, tutta la creazione, di cui l’apostolo Paolo scriverà che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8, 19), diventa testimone della rivelazione del Figlio di Dio nella carne umana. Allo stesso tempo, questo è l’inizio e il fondamento della rivelazione di quanti sono diventati figli e figlie di Dio in virtù dell’adozione divina, a cui tutti sono chiamati.

Quali profondi motivi di gioia ci riserva il Natale del Signore!

3. Di tali motivi parla anche san Paolo nella seconda Lettura: “È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2, 11). Il Figlio di Dio non viene al mondo a mani vuote. È vero che nella stalla di Betlemme riceve i doni dei pastori, ma prima di tutto egli stesso porta con sé grandi doni. È un’elargizione indicibile: “Ineffabili doni ci offre oggi dal cielo il Padre amorevole, quando il Verbo eterno si fa carne, in virtù della sua mirabile potenza” (Canto natalizio).

Proprio quel dono inestimabile, che l’Apostolo chiama “grazia” - elargizione della partecipazione alla vita di Dio, elargizione universale, come apertura della via dell’eterna salvezza - è la fonte più profonda della gioia del Natale.

Con questa gioia nel cuore, celebriamo la solenne ed affascinante Liturgia della notte. Vogliamo unirci ai cori degli angeli, che sopra la stalla di Betlemme glorificano il Signore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). Preghiamo oggi per tutti gli uomini, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. Vogliamo, infatti, essere fedeli al dono recato da Dio nella notte di Betlemme: la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, apparsa per tutti gli uomini.

Da questa Basilica di san Pietro rivolgo a tutti un cordiale saluto, augurando che questa fonte di gioia, sgorgata nella storia dell’uomo con la nascita del Figlio di Dio, sia per tutti abbondante, così che ciascuno vi attinga e ad essa si disseti. Ecco: è aperta la sorgente della salvezza che Dio desidera offrire ad ogni uomo. Proprio per questo egli si è fatto prossimo a noi, divenendo nel suo Figlio simile agli uomini: vero Dio e vero Uomo.

“Nasce Dio, la potenza umana resta sbigottita, il Signore dei cieli si spoglia! Il fuoco si smorza, il fulgore si vela, l’Infinito si pone confini” (F. Karpinski, Canto natalizio). Al tempo stesso, in questa notte si dilatano i confini dell’esistenza umana. Il Figlio di Dio, assumendo i limiti dell’uomo, dischiude davanti a noi la prospettiva dell’infinito di Dio.

“Natus est hodie Salvator mundi”. 
È nato oggi il Salvatore del mondo. 
Venite adoriamo!

 

OMELIA

24 dicembre 1997

 

1. "Ecco, vi annuncio una grande gioia... : oggi vi è nato... un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,10-11).

Oggi! Questo "oggi", che risuona nella liturgia, non si riferisce soltanto all'evento che ebbe luogo ormai quasi duemila anni fa e che cambiò la storia del mondo. Esso riguarda anche questa Notte Santa, nella quale siamo raccolti qui, nella Basilica di San Pietro, in spirituale comunione con quanti, in ogni angolo della terra, celebrano la solennità del Natale. Anche nei luoghi più sperduti dei cinque Continenti risuonano, in questa notte, le parole angeliche udite dai pastori di Betlemme: "Ecco, vi annunzio una grande gioia...: oggi vi è nato... un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,10-11).

Gesù nacque in una stalla, come racconta il Vangelo di Luca, "perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Lc, 2,7). Maria, sua Madre, e Giuseppe non avevano trovato accoglienza in nessuna casa di Betlemme. Maria dovette deporre il Salvatore del mondo in una mangiatoia, unica culla disponibile per il Figlio di Dio fatto uomo. Questa è la realtà del Natale del Signore. Ad essa ogni anno ritorniamo: così la riscopriamo, così la viviamo ogni volta con immutato stupore.

2. La nascita del Messia! E' l'evento centrale nella storia dell'umanità. L'attendeva con oscuro presentimento l'intero genere umano; l'attendeva con esplicita consapevolezza il Popolo eletto.

Testimone privilegiato di questa attesa, lungo tutto il periodo liturgico dell'Avvento ed anche in questa solenne veglia, è il profeta Isaia, il quale, dalla lontananza dei secoli, punta lo sguardo ispirato su quest'unica, futura notte di Betlemme. Egli, vissuto molti secoli prima, parla di questo evento e del suo mistero come se ne fosse testimone oculare: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un Figlio" - "Puer natus est nobis, Filius datus est nobis" (Is 9,5).

Ecco l'evento storico intriso di mistero: nasce un tenero bambino pienamente umano, ma che è allo stesso tempo il Figlio unigenito del Padre. E' il Figlio non creato, ma eternamente generato, Figlio della stessa sostanza del Padre. "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero". E' il Verbo, "per mezzo del quale tutte le cose sono state create".

Queste verità proclameremo tra poco nel Credo ed aggiungeremo: "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Professando con tutta la Chiesa la nostra fede, anche questa notte riconosceremo la grazia sorprendente che la misericordia del Signore ci concede.

Israele, il Popolo di Dio dell'antica Alleanza, è stato eletto per portare al mondo, come "germoglio della stirpe di Davide", il Messia, il Salvatore e Redentore dell'intera umanità. Insieme con un insigne esponente di quel Popolo, il profeta Isaia, volgiamoci, dunque, verso Betlemme con lo sguardo dell'attesa messianica. Nella luce divina, possiamo intravedere come si stia compiendo l'antica Alleanza e come, con la nascita di Cristo, si riveli un'Alleanza nuova ed eterna.

3. Di questa Alleanza nuova parla san Paolo nella Lettera a Tito, che abbiamo poc'anzi ascoltato: "E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2,11). Proprio questa grazia permette all'umanità di vivere "nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo", il quale "ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone" (Tt 2,14).

A noi, carissimi Fratelli e Sorelle, è rivolto oggi questo messaggio di grazia! Ascoltate, dunque! A tutti coloro "che Dio ama", a quanti accolgono l'invito a pregare e vegliare in questa Santa Notte di Natale, ripeto con gioia: Si è rivelato l'amore di Dio per noi! Il suo amore è grazia e fedeltà, misericordia e verità. E' Lui che, liberandoci dalle tenebre del peccato e della morte, è diventato saldo ed incrollabile fondamento della speranza d'ogni essere umano.

Il canto liturgico lo ripete con gioiosa insistenza: Venite, adoriamo! Venite da ogni parte del mondo a contemplare quanto è accaduto nella grotta di Betlemme. E' nato per noi il Redentore e questo è oggi, per noi e per tutti, dono di salvezza.

4. Insondabile è la profondità del mistero dell'Incarnazione! Assai ricca è, di riflesso, la liturgia del Natale del Signore: nelle Messe di mezzanotte, dell'aurora e del giorno vari testi liturgici gettano fasci successivi di luce su questo grande avvenimento che il Signore vuol far conoscere a quanti lo attendono e lo cercano (cfr Lc 2,15).

Nel mistero del Natale si manifesta in pienezza la verità del suo disegno di salvezza sull'uomo e sul mondo. Non è soltanto l'uomo ad essere salvato, ma tutta la creazione, la quale è invitata a cantare al Signore un canto nuovo, a gioire e ad esultare insieme con tutte le nazioni della terra (cfr Sal 95 [96]).

Proprio questo cantico di lode è risuonato con solenne magnificenza sulla povera stalla di Betlemme. Leggiamo in san Luca che le schiere celesti lodavano Dio dicendo: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).

In Dio è la pienezza della gloria. In questa notte la gloria di Dio diventa patrimonio di tutta la creazione e, in modo particolare, dell'uomo. Sì, il Figlio eterno, Colui che è l'eterno compiacimento del Padre si è fatto Uomo, e la sua nascita terrena, nella notte di Betlemme, testimonia una volta per sempre che in Lui ogni uomo è compreso nel mistero della divina predilezione, che è fonte della pace definitiva.

"Pace agli uomini che egli ama". Sì, pace all'umanità! E' questo il mio augurio natalizio. Carissimi Fratelli e Sorelle, durante questa notte ed in tutta l'Ottava di Natale, imploriamo dal Signore questa grazia tanto necessaria. Preghiamo perché l'intera umanità sappia riconoscere nel Figlio di Maria, nato a Betlemme, il Redentore del mondo, che reca in dono l'amore e la Pace.

Amen!

 

GIOVANNI PAOLO II

OMELIA

24 Dicembre 1998

   

1. "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è Cristo Signore" (Lc 2,10-11).

In questa Notte Santa, la Liturgia ci invita a celebrare nella gioia il grande evento della nascita di Gesù a Betlemme. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo di Luca, egli viene alla luce in una famiglia povera di mezzi materiali, ma ricca di gioia. Nasce in una stalla, perché per lui non c'è posto nell’albergo (cfr Lc 2,7); viene deposto nella mangiatoia, perché per lui non c’è una culla; viene al mondo nel pieno abbandono, all'insaputa di tutti e, allo stesso tempo, accolto e riconosciuto anzitutto dai pastori, che ricevono dall'angelo l'annuncio della sua nascita.

L’evento nasconde un mistero. Lo rivelano i cori dei messaggeri celesti che cantano la nascita di Gesù e proclamano gloria "a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). La lode nel corso dei secoli si fa preghiera che sale dal cuore delle moltitudini che nella Notte Santa continuano ad accogliere il Figlio di Dio.

2. Mysterium: evento e mistero. Nasce un uomo, che è il Figlio eterno del Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra: in questo straordinario avvenimento si rivela il mistero di Dio. Nel Verbo che si fa uomo si manifesta il prodigio del Dio incarnato. Il mistero illumina l’evento della nascita: un bimbo è adorato dai pastori nella capanna, a Betlemme. E' "il Salvatore del mondo", è "Cristo Signore" (cfr Lc 2,11). I loro occhi vedono un neonato avvolto in panni e deposto in una mangiatoia, e in quel «segno», grazie alla luce interiore della fede, riconoscono il Messia annunciato dai Profeti.

3. Ecco l'Emmanuele, il Dio-con-noi, che viene a riempire di grazia la terra. Viene al mondo per trasformare il creato. Si fa uomo tra gli uomini, perché in lui e per mezzo di lui ogni essere umano possa profondamente rinnovarsi. Con la sua nascita, egli ci introduce tutti nella dimensione della divinità, elargendo a chi nella fede si apre ad accogliere il suo dono la possibilità di partecipare alla sua stessa vita divina.

Questo è il significato della salvezza di cui odono parlare i pastori nella notte di Betlemme: "Vi è nato un Salvatore" (Lc 2,11). La venuta di Cristo fra noi è il centro della storia, che da allora acquista una nuova dimensione. In un certo senso, è Dio stesso che scrive la storia inserendosi al suo interno. L'evento dell'Incarnazione si dilata così ad abbracciare tutta l’ampiezza della storia umana, dalla creazione alla parusia. Ecco perché nella Liturgia tutta la creazione canta, esprimendo la propria gioia: plaudono i fiumi, esultano gli alberi della foresta, si allietano le isole tutte (cfr Sal 98,8; 96,12; 97,1).

Ogni essere creato sulla faccia della terra accoglie l'annuncio. Nel silenzio attonito dell'universo, rimbalza con eco cosmica ciò che la Liturgia pone sulle labbra della Chiesa: Christus natus est nobis. Venite, adoremus!

4. Cristo è nato per noi, venite ad adorarlo! Penso già al Natale del prossimo anno, quando, a Dio piacendo, darò inizio al Grande Giubileo con l'apertura della Porta Santa. Sarà un Anno Santo grande davvero, perché in modo del tutto singolare celebrerà la ricorrenza bimillenaria dell’evento-mistero dell'Incarnazione, in cui l’umanità ha raggiunto l’apice della sua vocazione. Dio s'è fatto Uomo per rendere l’uomo partecipe della propria divinità.

Ecco l'annuncio della salvezza; ecco il messaggio del Santo Natale! La Chiesa lo proclama, in questa notte, anche attraverso la mia bocca, perché lo odano i popoli e le nazioni di tutta la terra: Christus natus est nobis - Cristo è nato per noi. Venite, adoremus! - Venite ad adorarlo.

 

GIOVANNI PAOLO II

S. MESSA DI MEZZANOTTE
OMELIA DEL SANTO PADRE

APERTURA DEL GRANDE GIUBILEO DELL'ANNO 2000

24 dicembre 1999

   

1. "Hodie natus est nobis Salvator mundi" (Salmo resp.)

Da venti secoli prorompe dal cuore della Chiesa questo annuncio gioioso. In questa Notte Santa, l'Angelo lo ripete a noi, uomini e donne di fine millennio: "Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia... Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore" (Lc 2, 10-11). Ci siamo preparati ad accogliere queste parole consolanti durante il tempo d'Avvento: in esse si attualizza l'"oggi" della nostra redenzione.

In quest'ora, l'"oggi" risuona con un timbro singolare: non è solo il ricordo della nascita del Redentore, è l'inizio solenne del Grande Giubileo. Ci ricolleghiamo spiritualmente a quel singolare momento della storia, nel quale Dio si è fatto uomo, rivestendosi della nostra carne.

Sì, il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio e Luce da Luce, eternamente generato dal Padre, ha preso corpo dalla Vergine ed ha assunto la nostra natura umana. E' nato nel tempo. Dio è entrato nella storia. L'incomparabile "oggi" eterno di Dio si è fatto presenza nelle quotidiane vicende dell'uomo.

2. "Hodie natus est nobis Salvator mundi" (cfr Lc 2, 10-11).

Ci prostriamo dinanzi al Figlio di Dio. Ci uniamo spiritualmente allo stupore di Maria e di Giuseppe. Adorando Cristo, nato in una grotta, facciamo nostra la fede colma di sorpresa dei pastori di allora; sperimentiamo la loro stessa meraviglia e la loro stessa gioia.

E' difficile non arrendersi all'eloquenza di quest'evento: rimaniamo incantati. Siamo testimoni dell'istante dell'amore che unisce l'eterno alla storia: l'"oggi" che apre il tempo del giubilo e della speranza, perché "ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,5), come leggiamo nel testo di Isaia.

Ai piedi del Verbo incarnato deponiamo gioie e apprensioni, lacrime e speranze. Solo in Cristo, uomo nuovo, il mistero dell'essere umano trova vera luce.

Con l'apostolo Paolo, meditiamo che a Betlemme "è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2, 11). Per questa ragione, nella notte di Natale risuonano canti di gioia in ogni angolo della terra ed in tutte le lingue.

3. Questa notte, davanti ai nostri occhi si compie ciò che il Vangelo proclama: "Dio... ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita" (Gv 3,16).

Il suo Figlio unigenito!

Tu, o Cristo, sei il Figlio unigenito del Dio vivente, venuto nella grotta di Betlemme! Dopo duemila anni, riviviamo questo mistero come un evento unico e irripetibile. Tra tanti figli di uomini, tra tanti bambini venuti al mondo durante questi secoli, soltanto Tu sei il Figlio di Dio: la tua nascita ha cambiato, in modo ineffabile, il corso degli eventi umani.

Ecco la verità che in questa notte la Chiesa vuole trasmettere al terzo millennio. E voi tutti, che verrete dopo di noi, vogliate accogliere questa verità, che ha mutato totalmente la storia. Dalla notte di Betlemme, l'umanità è consapevole che Dio si è fatto Uomo: si è fatto Uomo per rendere l'uomo partecipe della sua natura divina.

4. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Sulla soglia del terzo millennio, la Chiesa Ti saluta, Figlio di Dio, che sei venuto al mondo per sconfiggere la morte. Sei venuto ad illuminare la vita umana mediante il Vangelo. La Chiesa Ti saluta e insieme con Te vuole entrare nel terzo millennio. Tu sei la nostra speranza. Tu solo hai parole di vita eterna.

Tu, che sei venuto al mondo nella notte di Betlemme, resta con noi!

Tu, che sei la Via, la Verità e la Vita, guidaci!

Tu, che sei venuto dal Padre, portaci a lui nello Spirito Santo, sulla via che soltanto Tu conosci e che ci hai rivelato perché avessimo la vita e l'avessimo in abbondanza.

Tu, Cristo, Figlio del Dio vivente, sii per noi la Porta!

Sii per noi la vera Porta simboleggiata da quella che in questa Notte solennemente abbiamo aperto!

Sii per noi la Porta che ci introduce nel mistero del Padre. Fa' che nessuno resti escluso dal suo abbraccio di misericordia e di pace!

"Hodie natus est nobis Salvator mundi": è Cristo l'unico nostro Salvatore! Questo è il messaggio del Natale 1999: l'"oggi" di questa Notte Santa dà inizio al Grande Giubileo.

Maria, aurora dei tempi nuovi, sii accanto a noi, mentre fiduciosi compiamo i primi passi dell'Anno Giubilare.

Amen!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 24 dicembre 2000

1. "Oggi è nato per noi il Salvatore" (Rit. Salmo resp.).

Risuona in questa notte, antico e sempre nuovo, l'annuncio del Natale del Signore. Risuona per chi veglia, come i pastori di Betlemme duemila anni or sono; risuona per chi ha seguito il richiamo dell'Avvento e, vigilante nell'attesa, è pronto ad accogliere il lieto messaggio, che nella liturgia si fa canto: "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Veglia il popolo cristiano; veglia il mondo intero, in questa notte di Natale che si riallaccia a quella memorabile di un anno fa, quando fu aperta la Porta Santa del Grande Giubileo, Porta della grazia spalancata per tutti.

2. In ogni giorno dell'Anno giubilare è come se la Chiesa non avesse mai cessato di ripetere: "Oggi è nato per noi il Salvatore". Quest'annuncio, che possiede un'inesauribile carica di rinnovamento, riecheggia in questa notte santa con forza singolare: è il Natale del Grande Giubileo, memoria viva dei duemila anni di Cristo, della sua nascita prodigiosa, che ha segnato il nuovo inizio della storia. Oggi "il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).

"Oggi". In questa notte, il tempo si apre all'eterno, perché Tu, o Cristo, sei nato tra noi sorgendo dall'alto. Sei venuto alla luce dal grembo di una Donna tra tutte benedetta, Tu, il "Figlio dell'Altissimo". La tua santità ha santificato una volta per sempre il nostro tempo: i giorni, i secoli, i millenni. Con la tua nascita hai fatto del tempo un "oggi" di salvezza.

3. "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Celebriamo in questa notte il mistero di Betlemme, il mistero di una notte singolare che sta, in un certo senso, nel tempo e oltre il tempo. Nel grembo della Vergine è nato un Bambino, una mangiatoia è stata culla per la Vita immortale.

Natale è la festa della vita, perché Tu, Gesù, venendo alla luce come ognuno di noi, hai benedetto l'ora della nascita: un'ora che simbolicamente rappresenta il mistero dell'umana esistenza, unendo il travaglio alla speranza, il dolore alla gioia. Tutto questo è avvenuto a Betlemme: una Madre ha partorito; "è venuto al mondo un uomo" (Gv 16,21), il Figlio dell'uomo. Mistero di Betlemme!

4. Con interiore commozione ripenso ai giorni del mio pellegrinaggio giubilare in Terra Santa. Torno con la mente a quella grotta nella quale mi è stata concessa la grazia di sostare in preghiera. Bacio nello spirito quella terra benedetta in cui è sbocciata per il mondo la gioia imperitura.

Penso con apprensione ai Luoghi santi e, in modo speciale, alla città di Betlemme, dove, purtroppo, a causa della difficile situazione politica, non potranno svolgersi con la consueta solennità i suggestivi riti del Santo Natale. Vorrei che in questa notte quelle comunità cristiane sentissero la piena solidarietà di tutta la Chiesa.

Vi siamo vicini, carissimi Fratelli e Sorelle, con una preghiera particolarmente intensa. Insieme con voi trepidiamo per le sorti dell'intera regione medio-orientale. Voglia il Signore ascoltare la nostra invocazione! Da questa Piazza, centro del mondo cattolico, risuoni ancora una volta con rinnovato vigore l'annuncio degli angeli ai pastori: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2, 14).

Non può vacillare la nostra fiducia, come non può venir meno la meraviglia per quanto stiamo commemorando. Nasce oggi Colui che dona al mondo la pace.

5. "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Il Verbo vagisce in una mangiatoia. Si chiama Gesù, che significa "Dio salva", perché "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).

Non è una reggia quella in cui nasce il Redentore, destinato ad instaurare il Regno eterno e universale. Nasce in una stalla e, venendo fra noi, accende nel mondo il fuoco dell'amore di Dio (cfr Lc 12,49). Questo fuoco non si spegnerà mai più.

Possa questo fuoco ardere nei cuori come fiamma di carità fattiva, che diventi accoglienza e sostegno per tanti fratelli provati dal bisogno e dalla sofferenza!

6. Signore Gesù, che contempliamo nella povertà di Betlemme, rendici testimoni del tuo amore, di quell'amore che Ti ha spinto a spogliarTi della gloria divina, per venire a nascere fra gli uomini e a morire per noi.

Mentre il Grande Giubileo entra nella sua fase finale, infondi in noi il tuo Spirito, perché la grazia dell'Incarnazione susciti in ogni credente l'impegno di una più generosa corrispondenza alla vita nuova ricevuta nel Battesimo.

Fa' che la luce di questa notte più splendente del giorno si proietti sul futuro ed orienti i passi dell'umanità sulla via della pace.

Tu, Principe della pace, Tu Salvatore nato oggi per noi, cammina con la tua Chiesa sulla strada che le si apre dinanzi nel nuovo millennio!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Lunedì, 24 dicembre 2001

 

1. "Populus, qui ambulabat in tenebris, vidit lucem magnam - Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce" (Is 9,1).

Ogni anno riascoltiamo queste parole del profeta Isaia, nel suggestivo contesto della rievocazione liturgica della nascita di Cristo. Ogni anno esse assumono un sapore nuovo e fanno rivivere il clima dell'attesa e della speranza, dello stupore e del gaudio, che sono tipici del Natale. 

Al popolo oppresso e sofferente, che camminava nelle tenebre, apparve "una grande luce". Sì, una luce davvero "grande", perché quella che s'irradia dall'umiltà del presepe è la luce della nuova creazione. Se la prima creazione cominciò con la luce (cfr Gn 1,3), tanto più fulgida e "grande" è la luce che dà inizio alla nuova creazione: è Dio stesso fatto uomo!

Il Natale è evento di luce, è la festa della luce: nel Bambino di Betlemme la luce originaria torna a risplendere nel cielo dell'umanità e squarcia le nubi del peccato. Il fulgore del trionfo definitivo di Dio appare all'orizzonte della storia per proporre agli uomini in cammino un nuovo futuro di speranza. 

2. "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (Is 9,1).

L'annuncio gioioso, proclamato poc'anzi nella nostra assemblea, vale anche per noi, uomini e donne all'alba del terzo millennio. La comunità dei credenti si raduna in preghiera per riascoltarlo in ogni regione del mondo. Tra il freddo e la neve dell'inverno o nel caldo torrido dei tropici, questa notte è Notte Santa per tutti.

Lungamente atteso, irrompe finalmente lo splendore del Giorno nuovo. E' nato il Messia, l'Emmanuele, Dio-con-noi! E' nato Colui che fu preannunciato dai profeti e a lungo invocato da quanti "abitavano in terra tenebrosa". Nel silenzio e nel buio della notte, la luce si fa parola e messaggio di speranza.

Ma non stride, forse, questa certezza di fede con la realtà storica in cui viviamo? Se ascoltiamo i resoconti impietosi della cronaca, queste parole di luce e di speranza sembrano parole di sogno. Ma sta appunto qui la sfida della fede, che rende questo annuncio consolante ed insieme esigente. Essa ci fa sentire avvolti dall'amore tenero di Dio, ed insieme ci impegna all'amore operoso di Dio e dei fratelli

3. "E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2,11).

I nostri cuori, in questo Natale, sono preoccupati e turbati a causa della persistenza, in diverse regioni del mondo, della guerra, delle tensioni sociali, delle strettezze penose in cui versano tanti esseri umani. Tutti cerchiamo una risposta che ci rassicuri.

La pagina della Lettera a Tito or ora ascoltata ci ricorda che la nascita del Figlio unigenito del Padre si è rivelata "apportatrice di salvezza" in ogni angolo del pianeta e in ogni momento della storia. Per ogni uomo e ogni donna nasce il Bambino "chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (Is 9,5). Egli porta con sé la risposta che può acquietare le nostre paure e ridare vigore alle nostre speranze.

Sì, in questa notte evocatrice di memorie sacrosante, più salda si fa la nostra fiducia nella potenza redentrice della Parola fatta carne. Quando le tenebre e il male sembrano prevalere, Cristo ci ripete: Non temete! Con la sua venuta nel mondo Egli ha sconfitto il potere del male, ci ha liberati dalla schiavitù della morte e ci ha riammessi al banchetto della vita.

Spetta a noi attingere alla forza del suo amore vittorioso, facendo nostra la sua logica di servizio e di umiltà. Ciascuno di noi è chiamato a vincere con Lui "il mistero dell'iniquità", facendosi testimone di solidarietà e costruttore di pace. Andiamo dunque alla grotta di Betlemme per incontrare Lui, ma anche per incontrare, in Lui, ogni bambino del mondo, ogni fratello piagato nel corpo o oppresso nello spirito. 

4. I pastori "dopo averlo visto, riferirono ciò che del Bambino era stato detto loro" (Lc 2,17).

Come i pastori, anche noi in questa notte straordinaria non possiamo non provare il desiderio di comunicare agli altri la gioia dell'incontro con questo "Bambino avvolto in fasce", nel quale si rivela la potenza salvifica dell'Onnipotente. Non possiamo fermarci a contemplare estasiati il Messia che giace nella mangiatoia, dimenticando l'impegno di renderGli testimonianza.

Dobbiamo riprendere in fretta il nostro cammino. Dobbiamo ripartire gioiosi dalla grotta di Betlemme per riferire in ogni luogo il prodigio di cui siamo stati testimoni. Abbiamo incontrato la luce e la vita! In Lui ci è stato donato l'amore. 

5. "Un Bambino è nato per noi..." (Is 9,5).

Ti accogliamo con gioia, Onnipotente Signore del cielo e della terra, che per amore ti sei fatto Bambino "in Giudea, nella città di Davide chiamata Betlemme" (Lc 2,4).

Ti accogliamo riconoscenti, Luce nuova che sorgi nella notte del mondo.

Ti accogliamo come nostro fratello, "Principe della pace", che hai "fatto dei due un popolo solo" (Ef 2,14).

Colmaci dei tuoi doni, Tu che non hai disdegnato di iniziare la vita umana come noi. Facci diventare figli di Dio, Tu che per noi hai voluto diventare figlio dell'uomo (cfr Sant'Agostino, Discorsi, 184).

Tu, "Consigliere ammirabile", sicura promessa di pace; Tu, presenza efficace del "Dio potente"; Tu, nostro unico Dio, che giaci povero e umile nell'ombra del Presepe, accoglici accanto alla tua culla.

Venite, popoli della terra e apritegli le porte della vostra storia! Venite ad adorare il Figlio della Vergine Maria, sceso fra noi, in questa notte preparata da secoli.

Notte di gioia e di luce.

Venite, adoremus!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

24 dicembre 2002

 

1. “Dum medium silentium tenerent omnia… - Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale” (Ant. al Magn. 26 Dicembre).

In questa Notte Santa si compie l’antica promessa: il tempo dell’attesa è finito, e la Vergine dà alla luce il Messia.

Gesù nasce per l’umanità che va in cerca di libertà e di pace; nasce per ogni uomo oppresso dal peccato, bisognoso di salvezza e assetato di speranza.

All’incessante grido dei popoli: Vieni, Signore, salvaci!, Dio risponde in questa notte: la sua eterna Parola d’amore ha assunto la nostra carne mortale. “Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit”. Il Verbo è entrato nel tempo: è nato l’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Nelle cattedrali e nelle basiliche, come nelle chiese più piccole e sperdute di ogni parte della terra, si leva commosso il canto dei cristiani: “Oggi è nato per noi il Salvatore” (Salmo resp.). 

2.    Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7).

Ecco l’icona del Natale: un fragile neonato, che le mani di una donna proteggono con poveri panni e depongono nella mangiatoia.

Chi può pensare che quel piccolo essere umano è il “Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,32)? Lei sola, la Madre, conosce la verità e ne custodisce il mistero.

In questa notte anche noi possiamo ‘passare’ attraverso il suo sguardo, per riconoscere in questo Bambino il volto umano di Dio. Anche per noi, uomini del terzo millennio, è possibile incontrare Cristo e contemplarlo con gli occhi di Maria.

La notte di Natale diventa così scuola di fede e di vita

3.    Nella seconda Lettura, poc’anzi proclamata, l’apostolo Paolo ci aiuta a comprendere l’evento-Cristo, che celebriamo in questa notte di luce. Egli scrive: “È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11).

La “grazia di Dio apparsa” in Gesù è il suo amore misericordioso, che presiede all’intera storia della salvezza e la guida verso il suo definitivo compimento. Il rivelarsi di Dio “nell’umiltà della nostra natura umana” (Prefazio d’Avvento I) costituisce l’anticipazione, sulla terra, della sua “manifestazione” gloriosa alla fine dei tempi (cfr Tt 2,13).

Non solo. L’evento storico che stiamo vivendo nel mistero è la “via” a noi offerta per giungere all’incontro con Cristo glorioso. In effetti, con la sua Incarnazione, Gesù “ci insegna - come osserva l’Apostolo - a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza” (Tt 2,12-13).

O Natale del Signore, che hai ispirato Santi di ogni tempo! Penso, tra gli altri, a san Bernardo e alle sue elevazioni spirituali davanti alla scena toccante del presepe; penso a san Francesco d’Assisi, ideatore ispirato della prima animazione “dal vivo” del mistero della Notte Santa; penso a santa Teresa di Gesù Bambino, che all’orgogliosa coscienza moderna ha riproposto con la sua “piccola via” l’autentico spirito del Natale. 

4. “Troverete un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12).

Il Bambino giacente nella povertà di una mangiatoia: questo è il segno di Dio. Passano i secoli ed i millenni, ma il segno rimane, e vale anche per noi, uomini e donne del terzo millennio. È segno di speranza per l’intera famiglia umana: segno di pace per quanti soffrono a causa di ogni genere di conflitti; segno di liberazione per i poveri e gli oppressi; segno di misericordia per chi è chiuso nel circolo vizioso del peccato; segno d’amore e di conforto per chi si sente solo e abbandonato.

Segno piccolo e fragile, umile e silenzioso, ma ricco della potenza di Dio, che per amore si è fatto uomo. 

5. Signore Gesù, con i pastori 
noi ci accostiamo al tuo presepe
per contemplarti avvolto in fasce
e giacente nella mangiatoia.

O Bambino di Betlemme,
Ti adoriamo in silenzio con Maria,
tua Madre sempre Vergine.
A Te la gloria e la lode nei secoli,
divin Salvatore del mondo! Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì 24 dicembre 2003

 

1.    “Puer natus est nobis, filius datus est nobis” (Is 9,5).

Nelle parole del profeta Isaia, proclamate nella prima Lettura, è racchiusa la verità del Natale, che in questa notte insieme riviviamo.

Nasce un Bambino. Apparentemente, uno dei tanti bambini del mondo. Nasce un Bambino in una stalla di Betlemme. Nasce dunque in una condizione di estremo disagio: povero tra i poveri.

Ma Colui che nasce è “il Figlio” per eccellenza: Filius datus est nobis. Questo Bambino è il Figlio di Dio, consostanziale con il Padre. Preannunciato dai profeti, si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo nel seno di una Vergine, Maria.

Quando, tra poco, nel Credo canteremo “… et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”, ci inginocchieremo tutti. Mediteremo in silenzio il mistero che si compie: “Et homo factus est!”. Viene tra noi il Figlio di Dio e noi lo accogliamo in ginocchio. 

2. “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). In questa notte straordinaria il Verbo eterno, il “Principe della pace” (Is 9,5), nasce nella misera e fredda grotta di Betlemme.

Non temete, dice l’angelo ai pastori, oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11). Anche noi, come gli anonimi e fortunati pastori, accorriamo ad incontrare Colui che ha cambiato il corso della storia.

Nell’angusta povertà del presepe contempliamo “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Nell’inerme e fragile neonato, che vagisce fra le braccia di Maria, “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11). Sostiamo in silenzio e adoriamo! 

3. O Bambino, che hai voluto avere per culla una mangiatoia; o Creatore dell’universo, che Ti sei spogliato della gloria divina; o nostro Redentore, che hai offerto il tuo corpo inerme come sacrificio per la salvezza dell’umanità!

Il fulgore della tua nascita illumini la notte del mondo. La potenza del tuo messaggio d’amore distrugga le orgogliose insidie del maligno. Il dono della tua vita ci faccia comprendere sempre più quanto vale la vita di ogni essere umano.

Troppo sangue scorre ancora sulla terra! Troppa violenza e troppi conflitti turbano la serena convivenza delle nazioni!

Tu vieni a portarci la pace. Tu sei la nostra pace! Tu solo puoi fare di noi “un popolo puro” che ti appartenga per sempre, un popolo “zelante nelle opere buone” (Tt 2,14). 

4. Puer natus est nobis, filius datus est nobis!Che mistero insondabile nasconde l’umiltà di questo Bambino! Vorremmo quasi toccarlo; vorremmo abbracciarlo. 

Tu, Maria, che vegli sull’onnipotente tuo Figlio, donaci i tuoi occhi per contemplarlo con fede; donaci il tuo cuore per adorarlo con amore. 

Nella sua semplicità, il Bambino di Betlemme ci insegna a riscoprire il senso vero della nostra esistenza; ci insegna a “vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo” (Tt 2,12).  

5. O Notte Santa, tanto attesa, che hai unito Dio e l’uomo per sempre! Tu riaccendi in noi la speranza. Tu ci riempi di estasiato stupore. Tu ci assicuri il trionfo dell’amore sull’odio, della vita sulla morte.

Per questo restiamo assorti e preghiamo.

Nel silenzio luminoso del tuo Natale Tu, l’Emmanuele, continui a parlarci. E noi siamo pronti ad ascoltarti. Amen!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Venerdì 24 dicembre 2004

 

1. “Adoro Te devote, latens Deitas”.

In questa Notte, mi risuonano nel cuore le prime parole del celebre Inno eucaristico, che mi accompagna giorno dopo giorno in quest’anno particolarmente dedicato all’Eucaristia

Nel Figlio della Vergine, “avvolto in fasce” e deposto “in una mangiatoia” (Lc 2,12), riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo” (Gv 6,41.51), il Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo. 

2. Betlemme! Nella lingua ebraica la città dove secondo le Scritture nacque Gesù significa “casa del pane”. Là, dunque, doveva nascere il Messia, che avrebbe detto di sé: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35.48). 

A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa Notte Santa, adorazione eucaristica.

3. Adoriamo Te, Signore, realmente presente nel Sacramento dell’altare, Pane vivo che dai vita all’uomo. Ti riconosciamo come nostro unico Dio, fragile Bambino che stai inerme nel presepe! “Nella pienezza dei tempi, ti sei fatto uomo tra gli uomini per unire la fine al principio, cioè l’uomo a Dio” (cfr S. Ireneo, Adv. haer., IV, 20,4) .

Sei nato in questa Notte, nostro divin Redentore, e per noi, viandanti sui sentieri del tempo, ti sei fatto cibo di vita eterna.

Ricordati di noi, eterno Figlio di Dio, che nel grembo verginale di Maria Ti sei incarnato! L’intera umanità, segnata da tante prove e difficoltà, ha bisogno di Te.

Resta con noi, Pane vivo disceso dal Cielo per la nostra salvezza! Resta con noi per sempre. Amen!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato 24 dicembre 2005

 

"Il Signore mi ha detto: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato"". Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Una volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell'incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d'Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. Siccome il re era la personificazione di quel popolo, la sua intronizzazione era vissuta come un atto solenne di adozione da parte di Dio, nel quale il re veniva, in qualche modo, coinvolto nel mistero stesso di Dio. Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l'espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d'amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso, Dio da Dio, si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: "Tu sei mio figlio". L'eterno oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato". Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci - su ogni bambino, anche su quello non ancora nato.

Ascoltiamo una seconda parola della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del profeta Isaia: "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (9, 1). La parola "luce" pervade tutta la liturgia di questa Santa Messa. È accennata nuovamente nel brano tratto dalla lettera di san Paolo a Tito: "È apparsa la grazia" (2, 11). L'espressione "è apparsa" appartiene al linguaggio greco e, in questo contesto, dice la stessa cosa che l'ebraico esprime con le parole "una luce rifulse": l'"apparizione" - l'"epifania" - è l'irruzione della luce divina nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Infine, il Vangelo ci racconta che ai pastori apparve la gloria di Dio e "li avvolse di luce" (Lc 2, 9). Dove compare la gloria di Dio, là si diffonde nel mondo la luce. "Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre", ci dice san Giovanni (1 Gv 1, 5). La luce è fonte di vita.

Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore, emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria - la gloria dell'amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell'amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, "li ha avvolti di luce". Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità - la bontà verso gli altri, l'attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi - da Paolo ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa di Calcutta - vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino.

Insieme con l'albero di Natale, i nostri amici austriaci ci hanno portato quest'anno anche una piccola fiamma che avevano acceso a Betlemme, per dirci: il vero mistero del Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa accesa nella fede si spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e facciamone dono agli altri! In questa notte, nella quale guardiamo verso Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa' che lì rifulga la tua luce! Fa' che lì arrivi la pace!

Con il termine "pace" siamo giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato "Principe della pace". Del suo regno si dice: "La pace non avrà fine". Ai pastori si annuncia nel Vangelo la "gloria di Dio nel più alto dei cieli" e la "pace in terra...". Una volta si leggeva: "...agli uomini di buona volontà"; nella nuova traduzione si dice: "...agli uomini che egli ama". Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono persone singole - Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna ecc. Ma ci sono anche due gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, i cosiddetti re magi. Soffermiamoci in questa notte sui pastori. Che specie di uomini sono? Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l'Annuncio dell'angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità - disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un'idea precisa. Nel loro animo aperto all'attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace - proprio nel nostro tempo.

Tra i cristiani la parola pace ha poi assunto un significato tutto speciale: è diventata una parola per designare la comunione nell'Eucaristia. In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all'Eucaristia costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella "casa del pane". Cristo si dona a noi e ci dona con ciò la sua pace. Ce la dona perché noi portiamo la luce della pace nel nostro intimo e la comunichiamo agli altri; perché diventiamo operatori di pace e contribuiamo così alla pace nel mondo. Perciò preghiamo: Signore, compi la tua promessa! Fa' che là dove c'è discordia nasca la pace! Fa' che emerga l'amore là dove regna l'odio! Fa' che sorga la luce là dove dominano le tenebre! Facci diventare portatori della tua pace! Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica 24 dicembre 2006

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo appena ascoltato nel Vangelo la parola che gli Angeli, nella Notte santa, hanno detto ai pastori e che ora la Chiesa grida a noi: "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,11s). Niente di meraviglioso, niente di straordinario, niente di magnifico viene dato come segno ai pastori. Vedranno soltanto un bambino avvolto in fasce che, come tutti i bambini, ha bisogno delle cure materne; un bambino che è nato in una stalla e perciò giace non in una culla, ma in una mangiatoia. Il segno di Dio è il bambino nel suo bisogno di aiuto e nella sua povertà. Soltanto col cuore i pastori potranno vedere che in questo bambino è diventata realtà la promessa del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,5). Anche a noi non è stato dato un segno diverso. L'angelo di Dio, mediante il messaggio del Vangelo, invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia.

Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient'altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l'umiltà della rinuncia che fa parte dell'essenza dell'amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell'Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia che anche Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell'Antico Testamento. Lì si leggeva: "Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata" (Is 10,23; Rom 9,28). I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile. Così Dio ci insegna ad amare i piccoli. Ci insegna così ad amare i deboli. Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo. Preghiamo in questa notte, affinché il fulgore dell’amore di Dio accarezzi tutti questi bambini, e chiediamo a Dio di aiutarci a fare la nostra parte perché sia rispettata la dignità dei bambini; che per tutti sorga la luce dell’amore, di cui l’uomo ha più bisogno che non delle cose materiali necessarie per vivere.

Con ciò siamo arrivati al secondo significato che i Padri hanno trovato nella frase: "Dio ha abbreviato la sua Parola". La Parola che Dio ci comunica nei libri della Sacra Scrittura era, nel corso dei tempi, diventata lunga. Lunga e complicata non solo per la gente semplice ed analfabeta, ma addirittura ancora di più per i conoscitori della Sacra Scrittura, per i dotti che, chiaramente, s’impigliavano nei particolari e nei rispettivi problemi, non riuscendo quasi più a trovare una visione d'insieme. Gesù ha "reso breve" la Parola – ci ha fatto rivedere la sua più profonda semplicità e unità. Tutto ciò che ci insegnano la Legge e i profeti è riassunto – dice – nella parola: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,37-40). Questo è tutto – l’intera fede si risolve in quest’unico atto d’amore che abbraccia Dio e gli uomini. Ma subito riemergono delle domande: Come possiamo amare Dio con tutta la nostra mente, se stentiamo a trovarlo con la nostra capacità mentale? Come amarLo con tutto il nostro cuore e la nostra anima, se questo cuore arriva ad intravederLo solo da lontano e percepisce tante cose contraddittorie nel mondo che velano il suo volto davanti a noi? A questo punto i due modi in cui Dio ha "fatto breve" la sua Parola s’incontrano. Egli non è più lontano. Non è più sconosciuto. Non è più irraggiungibile per il nostro cuore. Si è fatto bambino per noi e ha dileguato con ciò ogni ambiguità. Si è fatto nostro prossimo, ristabilendo in tal modo anche l’immagine dell’uomo che, spesso, ci appare così poco amabile. Dio, per noi, si è fatto dono. Ha donato se stesso. Si prende tempo per noi. Egli, l’Eterno che è al di sopra del tempo, ha assunto il tempo, ha tratto in alto il nostro tempo presso di sé. Natale è diventato la festa dei doni per imitare Dio che ha donato se stesso a noi. Lasciamo che il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente siano toccati da questo fatto! Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l'agitazione. Così nasce la gioia, così si crea la festa. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi giorni la parola del Signore: "Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di invitare te" (cfr Lc 14,12-14). E questo significa, appunto, anche: Quando tu per Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo!

Così si schiude infine ancora un terzo significato dell'affermazione sulla Parola diventata "breve" e "piccola". Ai pastori era stato detto che avrebbero trovato il bambino in una mangiatoia per gli animali, che erano i veri abitanti della stalla. Leggendo Isaia (1,3), i Padri hanno dedotto che presso la mangiatoia di Betlemme c’erano un bue e un asino. Al contempo hanno interpretato il testo nel senso che in ciò vi sarebbe un simbolo dei giudei e dei pagani – quindi dell’umanità intera – i quali abbisognano, gli uni e gli altri a modo loro, di un salvatore: di quel Dio che si è fatto bambino. L’uomo, per vivere, ha bisogno del pane, del frutto della terra e del suo lavoro. Ma non vive di solo pane. Ha bisogno di nutrimento per la sua anima: ha bisogno di un senso che riempia la sua vita. Così, per i Padri, la mangiatoia degli animali è diventata il simbolo dell’altare, sul quale giace il Pane che è Cristo stesso: il vero cibo per i nostri cuori. E vediamo ancora una volta, come Egli si sia fatto piccolo: nell’umile apparenza dell’ostia, di un pezzettino di pane, Egli ci dona se stesso.

Di tutto ciò parla il segno che fu dato ai pastori e che vien dato a noi: il bambino che ci è stato donato; il bambino in cui Dio si è fatto piccolo per noi. Preghiamo il Signore di donarci la grazia di guardare in questa notte il presepe con la semplicità dei pastori per ricevere così la gioia con la quale essi tornarono a casa (cfr Lc 2,20). Preghiamolo di darci l’umiltà e la fede con cui san Giuseppe guardò il bambino che Maria aveva concepito dallo Spirito Santo. Preghiamo che ci doni di guardarlo con quell’amore, con cui Maria l’ha osservato. E preghiamo che così la luce, che i pastori videro, illumini anche noi e che si compia in tutto il mondo ciò che gli angeli cantarono in quella notte: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". Amen!

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Martedì, 25 dicembre 2007

 

Cari fratelli e sorelle!

„Per Maria si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (cfr Lc 2,6s). Queste frasi, sempre di nuovo ci toccano il cuore. È arrivato il momento che l’Angelo aveva preannunziato a Nazaret: “Darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (cfr Lc 1,31). È arrivato il momento che Israele aveva atteso da tanti secoli, durante tante ore buie – il momento in qualche modo atteso da tutta l’umanità in figure ancora confuse: che Dio si prendesse cura di noi, che uscisse dal suo nascondimento, che il mondo diventasse sano e che Egli rinnovasse tutto. Possiamo immaginare con quanta preparazione interiore, con quanto amore Maria sia andata incontro a quell’ora. Il breve accenno: “Lo avvolse in fasce” ci lascia intravedere qualcosa della santa gioia e dello zelo silenzioso di quella preparazione. Erano pronte le fasce, affinché il bimbo potesse essere accolto bene. Ma nell’albergo non c’è posto. In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro.

Giovanni, nel suo Vangelo, puntando all’essenziale ha approfondito la breve notizia di san Luca sulla situazione in Betlemme: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (1,11). Ciò riguarda innanzitutto Betlemme: il Figlio di Davide viene nella sua città, ma deve nascere in una stalla, perché nell’albergo non c’è posto per Lui. Riguarda poi Israele: l’inviato viene dai suoi, ma non lo si vuole. Riguarda in realtà l’intera umanità: Colui per il quale è stato fatto il mondo, il primordiale Verbo creatore entra nel mondo, ma non viene ascoltato, non viene accolto.

Queste parole riguardano in definitiva noi, ogni singolo e la società nel suo insieme. Abbiamo tempo per il prossimo che ha bisogno della nostra, della mia parola, del mio affetto? Per il sofferente che ha bisogno di aiuto? Per il profugo o il rifugiato che cerca asilo? Abbiamo tempo e spazio per Dio? Può Egli entrare nella nostra vita? Trova uno spazio in noi, o abbiamo occupato tutti gli spazi del nostro pensiero, del nostro agire, della nostra vita per noi stessi?

Grazie a Dio, la notizia negativa non è l’unica, né l’ultima che troviamo nel Vangelo. Come in Luca incontriamo l’amore della madre Maria e la fedeltà di san Giuseppe, la vigilanza dei pastori e la loro grande gioia, come in Matteo incontriamo la visita dei sapienti Magi, venuti da lontano, così anche Giovanni ci dice: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Esistono quelli che lo accolgono e così, a cominciare dalla stalla, dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il nuovo mondo. Il messaggio di Natale ci fa riconoscere il buio di un mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo quotidianamente. Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere fuori. Egli trova uno spazio, entrando magari per la stalla; esistono degli uomini che vedono la sua luce e la trasmettono. Mediante la parola del Vangelo, l’Angelo parla anche a noi, e nella sacra liturgia la luce del Redentore entra nella nostra vita. Se siamo pastori o sapienti – la luce e il suo messaggio ci chiamano a metterci in cammino, ad uscire dalla chiusura dei nostri desideri ed interessi per andare incontro al Signore ed adorarlo. Lo adoriamo aprendo il mondo alla verità, al bene, a Cristo, al servizio di quanti sono emarginati e nei quali Egli ci attende.

In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Quando Samuele lo cercò per l’unzione, sembrava impossibile e contraddittorio che un simile pastore-ragazzino potesse diventare il portatore della promessa di Israele. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità. La stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo.

Gregorio di Nissa, nelle sue omelie natalizie ha sviluppato la stessa visione partendo dal messaggio di Natale nel Vangelo di Giovanni: “Ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). Gregorio applica questa parola della tenda alla tenda del nostro corpo, diventato logoro e debole; esposto dappertutto al dolore ed alla sofferenza. E la applica all’intero cosmo, lacerato e sfigurato dal peccato. Che cosa avrebbe detto, se avesse visto le condizioni, in cui si trova oggi la terra a causa dell’abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento senza alcun riguardo? Anselmo di Canterbury, in una maniera quasi profetica, ha una volta descritto in anticipo ciò che noi oggi vediamo in un mondo inquinato e minacciato per il suo futuro: “Tutto era come morto, aveva perso la sua dignità, essendo stato fatto per servire a coloro che lodano Dio. Gli elementi del mondo erano oppressi, avevano perso il loro splendore a causa dell’abuso di quanti li rendevano servi dei loro idoli, per i quali non erano stati creati” (PL 158, 955s). Così, secondo la visione di Gregorio, la stalla nel messaggio di Natale rappresenta la terra maltrattata. Cristo non ricostruisce un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli. La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità. Così Natale è una festa della creazione ricostituita. A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio. Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti. È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire.

Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto. Alla fine della nostra meditazione natalizia vorrei citare una parola straordinaria di sant’Agostino. Interpretando l’invocazione della Preghiera del Signore: “Padre nostro che sei nei cieli”, egli domanda: che cosa è questo – il cielo? E dove è il cielo? Segue una risposta sorprendente: “…che sei nei cieli – ciò significa: nei santi e nei giusti. I cieli sono, sì, i corpi più alti dell’universo, ma tuttavia corpi, che non possono essere se non in un luogo. Se, però, si crede che il luogo di Dio sia nei cieli come nelle parti più alte del mondo, allora gli uccelli sarebbero più fortunati di noi, perché vivrebbero più vicini a Dio. Ma non è scritto: ‘Il Signore è vicino a quanti abitano sulle alture o sulle montagne’, ma invece: ‘Il Signore è vicino ai contriti di cuore’ (Sal 34[33],19), espressione che si riferisce all’umiltà. Come il peccatore viene chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato ‘cielo’” (Serm. in monte II 5, 17). Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Giovedì, 25 dicembre 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

"Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra?" Così canta Israele in uno dei suoi Salmi (113 [112], 5s), in cui esalta insieme la grandezza di Dio e la sua benevola vicinanza agli uomini. Dio dimora nell’alto, ma si china verso il basso… Dio è immensamente grande e di gran lunga al di sopra di noi. È questa la prima esperienza dell’uomo. La distanza sembra infinita. Il Creatore dell’universo, Colui che guida il tutto, è molto lontano da noi: così sembra inizialmente. Ma poi viene l’esperienza sorprendente: Colui al quale nessuno è pari, che "siede nell’alto", Questi guarda verso il basso. Si china in giù. Egli vede noi e vede me. Questo guardare in giù di Dio è più di uno sguardo dall’alto. Il guardare di Dio è un agire. Il fatto che Egli mi vede, mi guarda, trasforma me e il mondo intorno a me. Così il Salmo continua immediatamente: "Solleva l’indigente dalla polvere…" Con il suo guardare in giù Egli mi solleva, benevolmente mi prende per mano e mi aiuta a salire, proprio io, dal basso verso l’alto. "Dio si china". Questa parola è una parola profetica. Nella notte di Betlemme, essa ha acquistato un significato completamente nuovo. Il chinarsi di Dio ha assunto un realismo inaudito e prima inimmaginabile. Egli si china – viene, proprio Lui, come bimbo giù fin nella miseria della stalla, simbolo di ogni necessità e stato di abbandono degli uomini. Dio scende realmente. Diventa un bambino e si mette nella condizione di dipendenza totale che è propria di un essere umano appena nato. Il Creatore che tutto tiene nelle sue mani, dal quale noi tutti dipendiamo, si fa piccolo e bisognoso dell’amore umano. Dio è nella stalla. Nell’Antico Testamento il tempio era considerato quasi come lo sgabello dei piedi di Dio; l’arca sacra come il luogo in cui Egli, in modo misterioso, era presente in mezzo agli uomini. Così si sapeva che sopra il tempio, nascostamente, stava la nube della gloria di Dio. Ora essa sta sopra la stalla. Dio è nella nube della miseria di un bimbo senza albergo: che nube impenetrabile e tuttavia – nube della gloria! In che modo, infatti, la sua predilezione per l’uomo, la sua preoccupazione per lui potrebbe apparire più grande e più pura? La nube del nascondimento, della povertà del bambino totalmente bisognoso dell’amore, è allo stesso tempo la nube della gloria. Perché niente può essere più sublime, più grande dell’amore che in questa maniera si china, discende, si rende dipendente. La gloria del vero Dio diventa visibile quando ci si aprono gli occhi del cuore davanti alla stalla di Betlemme.

Il racconto del Natale secondo san Luca, che abbiamo appena ascoltato nel brano evangelico, ci narra che Dio ha un po’ sollevato il velo del suo nascondimento dapprima davanti a persone di condizione molto bassa, davanti a persone che nella grande società erano piuttosto disprezzate: davanti ai pastori che nei campi intorno a Betlemme facevano la guardia agli animali. Luca ci dice che queste persone "vegliavano". Possiamo così sentirci richiamati a un motivo centrale del messaggio di Gesù, in cui ripetutamente e con crescente urgenza fino all’Orto degli ulivi torna l’invito alla vigilanza – a restare svegli per accorgersi della venuta del Signore ed esservi preparati. Pertanto anche qui la parola significa forse più del semplice essere esternamente svegli durante l’ora notturna. Erano persone veramente vigilanti, nelle quali il senso di Dio e della sua vicinanza era vivo. Persone che erano in attesa di Dio e non si rassegnavano all’apparente lontananza di Lui nella vita di ogni giorno. Ad un cuore vigilante può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio. Solo il cuore vigilante può infondere il coraggio di incamminarsi per trovare Dio nelle condizioni di un bambino nella stalla. Preghiamo il Signore affinché aiuti anche noi a diventare persone vigilanti.

San Luca ci racconta inoltre che i pastori stessi erano "avvolti" dalla gloria di Dio, dalla nube di luce, si trovavano nell’intimo splendore di questa gloria. Avvolti dalla nube santa ascoltano il canto di lode degli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini della sua benevolenza". E chi sono questi uomini della sua benevolenza se non i piccoli, i vigilanti, quelli che sono in attesa, sperano nella bontà di Dio e lo cercano guardando verso di Lui da lontano?

Nei Padri della Chiesa si può trovare un commento sorprendente circa il canto con cui gli angeli salutano il Redentore. Fino a quel momento – dicono i Padri – gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo. Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo, il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia. Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini". Possiamo forse dire che, secondo la struttura della poesia ebraica, questo doppio versetto nei suoi due brani dice in fondo la stessa cosa, ma da un punto di vista diverso. La gloria di Dio è nell’alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore. E ancora: la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo.

Il teologo medioevale Guglielmo di S. Thierry ha detto una volta: Dio – a partire da Adamo – ha visto che la sua grandezza provocava nell’uomo resistenza; che l’uomo si sente limitato nel suo essere se stesso e minacciato nella sua libertà. Pertanto Dio ha scelto una via nuova. È diventato un Bambino. Si è reso dipendente e debole, bisognoso del nostro amore. Ora – ci dice quel Dio che si è fatto Bambino – non potete più aver paura di me, ormai potete soltanto amarmi.

Con tali pensieri ci avviciniamo in questa notte al Bambino di Betlemme – a quel Dio che per noi ha voluto farsi bambino. Su ogni bambino c’è il riverbero del bambino di Betlemme. Ogni bambino chiede il nostro amore. Pensiamo pertanto in questa notte in modo particolare anche a quei bambini ai quali è rifiutato l’amore dei genitori. Ai bambini di strada che non hanno il dono di un focolare domestico. Ai bambini che vengono brutalmente usati come soldati e resi strumenti della violenza, invece di poter essere portatori della riconciliazione e della pace. Ai bambini che mediante l’industria della pornografia e di tutte le altre forme abominevoli di abuso vengono feriti fin nel profondo della loro anima. Il Bambino di Betlemme è un nuovo appello rivolto a noi, di fare tutto il possibile affinché finisca la tribolazione di questi bambini; di fare tutto il possibile affinché la luce di Betlemme tocchi i cuori degli uomini. Soltanto attraverso la conversione dei cuori, soltanto attraverso un cambiamento nell’intimo dell’uomo può essere superata la causa di tutto questo male, può essere vinto il potere del maligno. Solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo e, per cambiare, gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte.

E parlando del Bambino di Betlemme pensiamo anche alla località che risponde al nome di Betlemme; pensiamo a quel Paese in cui Gesù ha vissuto e che Egli ha amato profondamente. E preghiamo affinché lì si crei la pace. Che cessino l’odio e la violenza. Che si desti la comprensione reciproca, si realizzi un’apertura dei cuori che apra le frontiere. Che scenda la pace di cui hanno cantato gli angeli in quella notte.

Nel Salmo 96 [95] Israele, e con esso la Chiesa, lodano la grandezza di Dio che si manifesta nella creazione. Tutte le creature vengono chiamate ad aderire a questo canto di lode, e allora lì si trova anche l’invito: "Si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene" (12s). La Chiesa legge anche questo Salmo come una profezia e, insieme, come un compito. La venuta di Dio a Betlemme fu silenziosa. Soltanto i pastori che vegliavano furono per un momento avvolti nello splendore luminoso del suo arrivo e poterono ascoltare una parte di quel canto nuovo che era nato dalla meraviglia e dalla gioia degli angeli per la venuta di Dio. Questo venire silenzioso della gloria di Dio continua attraverso i secoli. Là dove c’è la fede, dove la sua parola viene annunciata ed ascoltata, Dio raduna gli uomini e si dona loro nel suo Corpo, li trasforma nel suo Corpo. Egli "viene". E così si desta il cuore degli uomini. Il canto nuovo degli angeli diventa canto degli uomini che, attraverso tutti i secoli in modo sempre nuovo, cantano la venuta di Dio come bambino e, a partire dal loro intimo, diventano lieti. E gli alberi della foresta si recano da Lui ed esultano. L’albero in Piazza san Pietro parla di Lui, vuole trasmettere il suo splendore e dire: Sì, Egli è venuto e gli alberi della foresta lo acclamano. Gli alberi nelle città e nelle case dovrebbero essere più di un’usanza festosa: essi indicano Colui che è la ragione della nostra gioia – il Dio che per noi si è fatto bambino. Il canto di lode, nel più profondo, parla infine di Colui che è lo stesso albero della vita ritrovato. Nella fede in Lui riceviamo la vita. Nel Sacramento dell’Eucaristia Egli si dona a noi – dona una vita che giunge fin nell’eternità. In quest’ora noi aderiamo al canto di lode della creazione e la nostra lode è allo stesso tempo una preghiera: Sì, Signore, facci vedere qualcosa dello splendore della tua gloria. E dona la pace sulla terra. Rendici uomini e donne della tua pace. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Giovedì, 24 dicembre 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Venerdì, 24 dicembre 2010

 

Cari fratelli e sorelle!

„Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato“ – con questa parola del Salmo secondo, la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa. Essa sa che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come gli altri uomini, diventa “figlio di Dio” mediante la chiamata e l’insediamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova esistenza, lo attrae nel suo proprio essere. In modo ancora più chiaro la lettura tratta dal profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, presenta lo stesso processo in una situazione di travaglio e di minaccia per Israele: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere” (9,5). L’insediamento nell’ufficio del re è come una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione personale di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della promessa di pace. Nella notte di Betlemme, questa parola profetica è diventata realtà in un modo che al tempo di Isaia sarebbe stato ancora inimmaginabile. Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mondo. Questo bambino è veramente nato da Dio. È la Parola eterna di Dio, che unisce l’una all’altra umanità e divinità. Per questo bambino valgono i titoli di dignità che il cantico d’incoronazione di Isaia gli attribuisce: Consigliere mirabile – Dio potente – Padre per sempre – Principe della pace (9,5). Sì, questo re non ha bisogno di consiglieri appartenenti ai sapienti del mondo. Egli porta in se stesso la sapienza e il consiglio di Dio. Proprio nella debolezza dell’essere bambino Egli è il Dio forte e ci mostra così, di fronte ai poteri millantatori del mondo, la fortezza propria di Dio.

Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. In loro, tutte le parole sulla figliolanza di Dio, sull’insediamento nell’eredità delle genti, sul dominio delle terre lontane (Sal 2,8) restavano solo rimando a un avvenire – quasi cartelli segnaletici della speranza, indicazioni che conducevano verso un futuro che in quel momento era ancora inconcepibile. Così l’adempimento della parola che inizia nella notte di Betlemme è al contempo immensamente più grande e – dal punto di vista del mondo – più umile di ciò che la parola profetica lasciava intuire. È più grande, perché questo bambino è veramente Figlio di Dio, veramente “Dio da Dio, Luce da Luce, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata. Dio non si è soltanto chinato verso il basso, come dicono i Salmi; Egli è veramente “disceso”, entrato nel mondo, diventato uno di noi per attrarci tutti a sé. Questo bambino è veramente l’Emmanuele – il Dio-con-noi. Il suo regno si estende veramente fino ai confini della terra. Nella vastità universale della santa Eucaristia, Egli ha veramente eretto isole di pace. Ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di pace, di quella pace che è propria di Dio. Questo bambino ha acceso negli uomini la luce della bontà e ha dato loro la forza di resistere alla tirannia del potere. In ogni generazione Egli costruisce il suo regno dal di dentro, a partire dal cuore. Ma è anche vero che “il bastone dell’aguzzino” non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il “mantello intriso di sangue” (Is 9,3s). Così fa parte di questa notte la gioia per la vicinanza di Dio. Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera: Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: “La pace non avrà fine” (Is 9,6). Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del tuo amore – il “regno della giustizia, dell’amore e della pace”.

“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Con questa frase, san Luca racconta, in modo assolutamente privo di pathos, il grande evento che le parole profetiche nella storia di Israele avevano intravisto in anticipo. Luca qualifica il bambino come “primogenito”. Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, “primogenito” non significa il primo di una serie di altri figli. La parola “primogenito” è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. Così, nel Libro dell’Esodo (Es 4,22), Israele viene chiamato da Dio “il mio figlio primogenito”, e con ciò si esprime la sua elezione, la sua dignità unica, l’amore particolare di Dio Padre. La Chiesa nascente sapeva che in Gesù questa parola aveva ricevuto una nuova profondità; che in Lui sono riassunte le promesse fatte ad Israele. Così la Lettera agli Ebrei chiama Gesù “il primogenito” semplicemente per qualificarLo, dopo le preparazioni nell’Antico Testamento, come il Figlio che Dio manda nel mondo (cfr Eb 1,5-7). Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo particolare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio sostitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di Gesù  al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare, è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla croce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale che Dio sia tutto in tutti. San Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogenito: Gesù, ci dicono tali Lettere, è il Primogenito della creazione – il vero archetipo dell’uomo secondo cui Dio ha formato la creatura uomo. L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo, la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti, ci dicono inoltre queste Lettere. Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. Infine, ci viene detto: Egli è il primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il “primogenito” in fasce e lo pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza. Aiutaci perché diventiamo simili a te. Aiutaci a riconoscere nell’altro che ha bisogno di me, in coloro che soffrono o che sono abbandonati, in tutti gli uomini, il tuo volto, ed a vivere insieme con te come fratelli e sorelle per diventare una famiglia, la tua famiglia.

Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.” (Lc 2,14). La Chiesa ha amplificato, nel Gloria, questa lode, che gli angeli hanno intonato di fronte all’evento della Notte Santa, facendone un inno di gioia sulla gloria di Dio. “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Ti rendiamo grazie per la bellezza, per la grandezza, per la tua bontà, che in questa notte diventano visibili a noi. L’apparire della bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla sua utilità. La gloria di Dio, dalla quale proviene ogni bellezza, fa esplodere in noi lo stupore e la gioia. Chi intravede Dio prova gioia, e in questa notte vediamo qualcosa della sua luce. Ma anche degli uomini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: “Pace agli uomini che egli ama”. La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: “Pace agli uomini di buona volontà”. L’espressione “gli uomini di buona volontà” proprio negli ultimi decenni è entrata in modo particolare nel vocabolario della Chiesa. Ma quale traduzione è giusta? Dobbiamo leggere ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli angeli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambedue sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è insieme promessa e chiamata. Dio ci ha prevenuto con il dono del suo Figlio. Sempre di nuovo Dio ci previene in modo inatteso. Non cessa di cercarci, di sollevarci ogniqualvolta ne abbiamo bisogno. Non abbandona la pecora smarrita nel deserto in cui si è persa. Dio non si lascia confondere dal nostro peccato. Egli ricomincia sempre nuovamente con noi. Tuttavia aspetta il nostro amare insieme con Lui. Egli ci ama affinché noi possiamo diventare persone che amano insieme con Lui e così possa esservi pace sulla terra.

Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli…” (Lc 2,13s). Ma da sempre gli uomini sapevano che il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in questa notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria sublime di Dio ha brillato. Così questo canto degli angeli è stato percepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio, anzi, come invito ad unirsi nel canto, nella gioia del cuore per l’essere amati da Dio. Cantare amantis est, dice sant'Agostino: cantare è cosa di chi ama. Così, lungo i secoli, il canto degli angeli è diventato sempre nuovamente un canto di amore e di gioia, un canto di coloro che amano. In quest’ora noi ci associamo pieni di gratitudine a questo cantare di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini. Sì, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Ti ringraziamo per il tuo amore. Fa che diventiamo sempre di più persone che amano insieme con te e quindi persone di pace. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Sabato, 24 dicembre 2011

 

Cari fratelli e sorelle,

La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”. È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfrEb 1,1: lettura nella Messa del giorno). Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è “apparso”. Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: “apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo. “Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini”: questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.

In tutte e tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia, che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,5s). Non sappiamo se il profeta con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico. Sembra però impossibile. Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre. Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza, è Dio potente. Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre. “E la pace non avrà fine”. Il profeta ne aveva prima parlato come di “una grande luce” e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino, ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).

Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo.

Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199:Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.

Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.

Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Lunedì, 24 dicembre 2012

 

Cari fratelli e sorelle!

Sempre di nuovo la bellezza di questo Vangelo tocca il nostro cuore – una bellezza che è splendore della verità. Sempre di nuovo ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo, affinché osiamo amarlo, e, come bambino, si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Dio dice quasi: So che il mio splendore ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, perché tu possa accogliermi ed amarmi.

Sempre di nuovo mi tocca anche la parola dell’evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c’era posto nell’alloggio. Inevitabilmente sorge la domanda su come andrebbero le cose, se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? E poi ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla, l’evangelista Giovanni l’ha approfondita e portata all’essenza scrivendo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più velocemente possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione. E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’“ipotesi Dio”. Non c’è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c’è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell’alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l’esortazione di san Paolo: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!” (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto (nous); parla, in generale, del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo.

C’è ancora una seconda parola nel racconto di Natale sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l’inno di lode che gli angeli intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento”. Dio è glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell’amore. Egli è buono. È il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il loro canto è un’irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo. Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.

Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell’unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.

Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in quest’ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai vicini. Fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini “del tuo compiacimento” – uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace.

Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori dicevano l’un l’altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro cammino verso Betlemme, ci dice l’evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l’angelo aveva detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui l’angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali.

Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: “attraversare”, andare di là, osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale per giungere all’essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore.

Andiamo di là, a Betlemme: con queste parole che, insieme con i pastori, ci diciamo l’un l’altro, non dobbiamo pensare soltanto alla grande traversata verso il Dio vivente, ma anche alla città concreta di Betlemme, a tutti i luoghi in cui il Signore ha vissuto, operato e sofferto. Preghiamo in quest’ora per le persone che oggi lì vivono e soffrono. Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell’unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l’Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio.

I pastori si affrettavano. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente importante. Perché non dovremmo essere presi anche noi dalla curiosità di vedere più da vicino e di conoscere ciò che Dio ci ha detto? Preghiamolo affinché la santa curiosità e la santa gioia dei pastori tocchino in quest’ora anche noi, e andiamo quindi con gioia di là, a Betlemme – verso il Signore che anche oggi viene nuovamente verso di noi. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Martedì, 24 dicembre 2013

 

1. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).

Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere.

Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora, la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al suo patto e alle sue promesse. Perché fedele, «Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante.

Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. «Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11). Popolo in cammino, ma popolo pellegrino che non vuole essere popolo errante.

2. In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l’annuncio dell’Apostolo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.

3. I pastori sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E’ legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole.

In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Mercoledì, 24 Dicembre 2014

 

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is9,1). «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Così la liturgia di questa santa notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia.

Anche noi, in questa notte benedetta, siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi e  animati dalla speranza di trovare la “grande luce”. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto.

L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi. Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele (cfr Gen 4,8). Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!

Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio.

La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita del Redentore, lo fecero con queste parole: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Il “segno” è proprio l’umiltà di Dio, l’umiltà di Dio portata all’estremo; è l’amore con cui, quella notte, Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza.

In questa santa notte, mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?

E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio.

La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”.

Cari fratelli e sorelle, in questa notte santa contempliamo il presepe: lì «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). La vide la gente semplice, la gente disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. Guardiamo il presepe e preghiamo, chiedendo alla Vergine Madre: “O Maria, mostraci Gesù!”.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Giovedì, 24 Dicembre 2015

 

In questa notte risplende una «grande luce» (Is 9,1); su tutti noi rifulge la luce della nascita di Gesù. Quanto sono vere e attuali le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (9,2)! Il nostro cuore era già colmo di gioia per l’attesa di questo momento; ora, però, quel sentimento viene moltiplicato e sovrabbonda, perché la promessa si è compiuta, finalmente si è realizzata. Gioia e letizia ci assicurano che il messaggio contenuto nel mistero di questa notte viene veramente da Dio. Non c’è posto per il dubbio; lasciamolo agli scettici che per interrogare solo la ragione non trovano mai la verità. Non c’è spazio per l’indifferenza, che domina nel cuore di chi non riesce a voler bene, perché ha paura di perdere qualcosa. Viene scacciata ogni tristezza, perché il bambino Gesù è il vero consolatore del cuore.

Oggi il Figlio di Dio è nato: tutto cambia. Il Salvatore del mondo viene a farsi partecipe della nostra natura umana, non siamo più soli e abbandonati. La Vergine ci offre il suo Figlio come principio di vita nuova. La luce vera viene a rischiarare la nostra esistenza, spesso rinchiusa nell’ombra del peccato. Oggi scopriamo nuovamente chi siamo! In questa notte ci viene reso manifesto il cammino da percorrere per raggiungere la meta. Ora, deve cessare ogni paura e spavento, perché la luce ci indica la strada verso Betlemme. Non possiamo rimanere inerti. Non ci è lecito restare fermi. Dobbiamo andare a vedere il nostro Salvatore deposto in una mangiatoia. Ecco il motivo della gioia e della letizia: questo Bambino è «nato per noi», è «dato a noi», come annuncia Isaia (cfr 9,5). A un popolo che da duemila anni percorre tutte le strade del mondo per rendere partecipe ogni uomo di questa gioia, viene affidata la missione di far conoscere il “Principe della pace” e diventare suo efficace strumento in mezzo alle nazioni.

Quando, dunque, sentiamo parlare della nascita di Cristo, restiamo in silenzio e lasciamo che sia quel Bambino a parlare; imprimiamo nel nostro cuore le sue parole senza distogliere lo sguardo dal suo volto. Se lo prendiamo tra le nostre braccia e ci lasciamo abbracciare da Lui, ci porterà la pace del cuore che non avrà mai fine. Questo Bambino ci insegna che cosa è veramente essenziale nella nostra vita. Nasce nella povertà del mondo, perché per Lui e la sua famiglia non c’è posto in albergo. Trova riparo e sostegno in una stalla ed è deposto in una mangiatoia per animali. Eppure, da questo nulla, emerge la luce della gloria di Dio. A partire da qui, per gli uomini dal cuore semplice inizia la via della vera liberazione e del riscatto perenne. Da questo Bambino, che porta impressi nel suo volto i tratti della bontà, della misericordia e dell’amore di Dio Padre, scaturisce per tutti noi suoi discepoli, come insegna l’apostolo Paolo, l’impegno a «rinnegare l’empietà» e la ricchezza del mondo, per vivere «con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12).

In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale. In un mondo che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c’è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia, del ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio. Dentro una cultura dell’indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata, il nostro stile di vita sia invece colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera.

Come per i pastori di Betlemme, possano anche i nostri occhi riempirsi di stupore e meraviglia, contemplando nel Bambino Gesù il Figlio di Dio. E, davanti a Lui, sgorghi dai nostri cuori l’invocazione: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (Sal 85,8).

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato, 24 Dicembre 2016

 

«È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le parole dell’apostolo Paolo rivelano il mistero di questa notte santa: è apparsa la grazia di Dio, il suo regalo gratuito; nel Bambino che ci è donato si fa concreto l’amore di Dio per noi.

 

È una notte di gloria, quella gloria proclamata dagli angeli a Betlemme e anche da noi in tutto il mondo. È una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio, l’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce: quella luce, profetizzata da Isaia (cfr 9,1), che avrebbe illuminato chi cammina in terra tenebrosa, è apparsa e ha avvolto i pastori di Betlemme (cfr Lc 2,9).

 

I pastori scoprono semplicemente che «un bambino è nato per noi» (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gloria, tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l’angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.

 

E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell’imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.

 

Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti. Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.

 

Il mistero del Natale, che è luce e gioia, interpella e scuote, perché è nello stesso tempo un mistero di speranza e di tristezza. Porta con sé un sapore di tristezza, in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Così accadde a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse e posero Gesù in una mangiatoia, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale: bisogna liberarlo!

 

Ma il Natale ha soprattutto un sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori.

 

L’hanno capito, in quella notte, i pastori, che erano tra gli emarginati di allora. Ma nessuno è emarginato agli occhi di Dio e proprio loro furono gli invitati di Natale. Chi era sicuro di sé, autosufficiente, stava a casa tra le sue cose; i pastori invece «andarono, senza indugio» (cfr Lc 2,16). Anche noi lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, a partire dai nostri limiti, a partire dai nostri peccati. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Domenica, 24 Dicembre 2017

 

Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Con questa espressione semplice ma chiara, Luca ci conduce al cuore di quella notte santa: Maria diede alla luce, Maria ci ha dato la Luce. Un racconto semplice per immergerci nell’avvenimento che cambia per sempre la nostra storia. Tutto, in quella notte, diventava fonte di speranza.

Andiamo indietro di alcuni versetti. Per decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa.

E poi si trovarono ad affrontare la cosa forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto.

E proprio lì, in quella realtà che era una sfida, Maria ci ha regalato l’Emmanuele. Il Figlio di Dio dovette nascere in una stalla perché i suoi non avevano spazio per Lui. «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). E lì… in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa.

Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente.

Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole.

In quella notte, Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città. I pastori sono i primi destinatari di questa Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’angelo dice: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).

Ecco la gioia che in questa notte siamo invitati a condividere, a celebrare e ad annunciare. La gioia con cui Dio, nella sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e stranieri, e ci spinge a fare lo stesso.

La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente. Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte.

E questa stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Ce lo ricordava San Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo» (Omelia nella Messa d’inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978).

Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato (cfr Mt 25,35-36). «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità.

Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme, ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente.

 

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Lunedì, 24 dicembre 2018

 

 

Giuseppe, con Maria sua sposa, salì «alla città di Davide chiamata Betlemme» (Lc 2,4). Stanotte, anche noi saliamo a Betlemme per scoprirvi il mistero del Natale.

1. Betlemme: il nome significa casa del pane. In questa “casa” il Signore dà oggi appuntamento all’umanità. Egli sa che abbiamo bisogno di cibo per vivere. Ma sa anche che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore. Nella Scrittura, il peccato originale dell’umanità è associato proprio col prendere cibo: «prese del frutto e ne mangiò», dice il libro della Genesi (3,6). Prese e mangiò. L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un’insaziabile ingordigia attraversa la storia umana, fino ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere.

Betlemme è la svolta per cambiare il corso della storia. Lì Dio, nella casa del pane, nasce in una mangiatoia. Come a dirci: eccomi a voi, come vostro cibo. Non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma sé stesso. A Betlemme scopriamo che Dio non è qualcuno che prende la vita, ma Colui che dona la vita. All’uomo, abituato dalle origini a prendere e mangiare, Gesù comincia a dire: «Prendete, mangiate. Questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Il corpicino del Bambino di Betlemme lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare. Dio si fa piccolo per essere nostro cibo. Nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia. Dalla “casa del pane”, Gesù riporta l’uomo a casa, perché diventi familiare del suo Dio e fratello del suo prossimo. Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire.

Il Signore sa che abbiamo bisogno ogni giorno di nutrirci. Perciò si è offerto a noi ogni giorno della sua vita, dalla mangiatoia di Betlemme al cenacolo di Gerusalemme. E oggi ancora sull’altare si fa Pane spezzato per noi: bussa alla nostra porta per entrare e cenare con noi (cfr Ap 3,20). A Natale riceviamo in terra Gesù, Pane del cielo: è un cibo che non scade mai, ma ci fa assaporare già ora la vita eterna.

A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi. Perché quando Gesù cambia il cuore, il centro della vita non è più il mio io affamato ed egoista, ma Lui, che nasce e vive per amore. Chiamati stanotte a salire a Betlemme, casa del pane, chiediamoci: qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? È il Signore o è altro? Poi, entrando nella grotta, scorgendo nella tenera povertà del Bambino una nuova fragranza di vita, quella della semplicità, chiediamoci: ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Riesco a fare a meno di tanti contorni superflui, per scegliere una vita più semplice? A Betlemme, accanto a Gesù, vediamo gente che ha camminato, come Maria, Giuseppe e i pastori. Gesù è il Pane del cammino. Non gradisce digestioni pigre, lunghe e sedentarie, ma chiede di alzarsi svelti da tavola per servire, come pani spezzati per gli altri. Chiediamoci: a Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?

2. Dopo Betlemme casa del pane, riflettiamo su Betlemme città di Davide. Lì Davide, da ragazzo, faceva il pastore e come tale fu scelto da Dio, per essere pastore e guida del suo popolo. A Natale, nella città di Davide, ad accogliere Gesù ci sono proprio i pastori. In quella notte «essi – dice il Vangelo – furono presi da grande timore» (Lc 2,9), ma l’angelo disse loro: «non temete» (v. 10). Torna tante volte nel Vangelo questo non temete: sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio: «ho avuto paura e mi sono nascosto» (Gen 3,10), dice Adamo dopo il peccato. Betlemme è il rimedio alla paura, perché nonostante i “no” dell’uomo, lì Dio dice per sempre “sì”: per sempre sarà Dio-con-noi. E perché la sua presenza non incuta timore, si fa tenero bambino. Non temete: non viene detto a dei santi, ma a dei pastori, gente semplice che al tempo non si distingueva certo per garbo e devozione. Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni.

I pastori di Betlemme ci dicono anche come andare incontro al Signore. Essi vegliano nella notte: non dormono, ma fanno quello che Gesù più volte chiederà: vegliare (cfr Mt 25,13; Mc 13,35; Lc 21,36). Restano vigili, attendono svegli nel buio; e Dio «li avvolse di luce» (Lc 2,9). Vale anche per noi. La nostra vita può essere un’attesa, che anche nelle notti dei problemi si affida al Signore e lo desidera; allora riceverà la sua luce. Oppure una pretesa, dove contano solo le proprie forze e i propri mezzi; ma in questo caso il cuore rimane chiuso alla luce di Dio. Il Signore ama essere atteso e non lo si può attendere sul divano, dormendo. Infatti i pastori si muovono: «andarono senza indugio», dice il testo (v. 16). Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18).

Attendere svegli, andare, rischiare, raccontare la bellezza: sono gesti di amore. Il buon Pastore, che a Natale viene per dare la vita alle pecore, a Pasqua rivolgerà a Pietro e, attraverso di lui a tutti noi, la domanda finale: «Mi ami?» (Gv 21,15). Dalla risposta dipenderà il futuro del gregge. Stanotte siamo chiamati a rispondere, a dirgli anche noi: “Ti amo”. La risposta di ciascuno è essenziale per il gregge intero.

«Andiamo dunque fino a Betlemme» (Lc 2,15): così dissero e fecero i pastori. Pure noi, Signore, vogliamo venire a Betlemme. La strada, anche oggi, è in salita: va superata la vetta dell’egoismo, non bisogna scivolare nei burroni della mondanità e del consumismo. Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo. Prendimi sulle tue spalle, buon Pastore: da Te amato, potrò anch’io amare e prendere per mano i fratelli. Allora sarà Natale, quando potrò dirti: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo” (cfr Gv 21,17).

 

 

 

Grazie a: Libreria Editrice Vaticana – www.vatican.va

 

 

Natura, Amore e Vita
© 2018 Natura, Amore e Vita
LUCMEDINATURVI


HOME | INDICE | BIBLIOGRAFIA| Romolo Mantovani | Limone | Argilla | Polline | Alghe | Dono | Iside Diana | Medjugorje | MIDI | INTRO | PORTA | LE TRE MADRI | IL VERO CRISTIANO


in sottofondo: CHOPIN NOCTURNE; Holophonics by Anton Caribian; Fotografia, Grafica digitale e Compilazione Html di Antonio Bigliardi

Per CONTATTI: antoniob64@libero.it



INDICE GENERALE
 

 Natura, Amore e Vita - LUCMEDINATURVI